Recensioni / «Maria Callas, voce da messaggera celeste tra istinto assoluto e studio implacabile»

Aversano: «Il suo modello momento irripetibile, tra un mondo in estinzione e un altro che nasceva»

La sua vicenda rivela i tratti inconfondibili del fenomeno religioso («la Divina», non per nulla). L’infanzia umile e nascosta; il raggiungimento della fama (terrena) dopo povertà, lotte, invidie, ostacoli d’ogni tipo; crisalide mutatasi in icona; il consolidarsi di un culto, con corollario di riti, pellegrinaggi, reliquie, postulanti, trasfigurazioni; tradimenti, cadute, rinascite, crepuscoli, la morte misteriosa. Capricci, amori, lussi, manie, dimagrimenti, eleganza, scandali. L'influenza sulla cultura di massa. Soggetto insieme attivo (cantante interprete musicale) e passivo (caso sociologico-antropologico), con l’impossibilità a distinguere i due ambiti. Nel settembre del 2017 ricorreranno i quarant’anni dalla morte. Le Mille e una Callas (Quodlibet, 640 pagine, 26 euro), a cura di Luca Aversano e Jacopo Pellegrini, ne celebra la favola intatta.
Il volume è una miniera di spunti, documenti, informazioni, saggi. Ricordi e testimonianze dirette, ricerche intorno alla magnetica presenza scenica di Maria Callas, alla sua personalissima gestualità, studi sulla sua voce miracolosa; attenta disanima delle registrazioni sopravvissute, il suo insegnamento, le reazioni di pubblico e critica; le parole di colleghi, amici, direttori d’orchestra, registi, devoti; la «sua» Medea; il lascito, la presenza nel cinema, l'esame dei suoi costumi, l’amplificazione del «fenomeno Callas» compiuta da audiovisivi e rotocalchi, film, balletti, serie tv.
«Maria Callas è stata un evento complesso i cui riverberi durano ancora oggi» spiega uno dei curatori del libro, il musicologo Aversano: «Abbiamo spalancato l’indagine sulla sua figura in una molteplicità di approcci mai tentati. Ne è scaturito uno spaccato a tutto tondo della cultura italiana del secondo Novecento. Negli anni ’50 la passione per il melodramma è ancora un avvenimento popolare, si versano fiumi d’inchiostro a commentare un’interpretazione teatrale, un movimento sulla scena, un acuto, un portamento, un legato. Il pubblico appare soggiogato da quella presenza che fa rivivere sul palcoscenico le voci e i suoni di una remota cultura tragica su cui è fondata la nostra civiltà».
Un mondo scomparso?
Se si tratti d’un mondo al tramonto o d’un archetipo connaturato alla naLura umana è materia ancora attuale. Il contesto, la società, il sistema della produzione teatrale sono oggi radicalmente cambiati. Probabilmente il «modello Callas» è stato un momento irripetibile, sul crinale d’un mondo in estinzione e d’un altro che nasceva. Quasi una fiaba: il soprano sgraziato che si trasforma in una delle protagoniste del gossip planetario, brutto anatroccolo che diventa cigno. Un apparizione messianica, catalizzatrice, un’epifania a vasto raggio completa di leggende, luoghi comuni, incontri fatali, diete feroci, devozioni private, celebri ritratti; le rivalità fra opposte fazioni (Renata Tebaldi); la sua personalissima gestualità, frutto di istinto assoluto e studio implacabile; gli abbagli critici («Norma non è fatta per lei», «Ma lasci stare la Traviata», la avvertivano). La sua voce enigmatica («vociaccia» la definì il direttore Tullio Serafini, tuttavia capace di potenza espressiva sconvolgente, di incredibili metamorfosi, di aperture inaudite. È stata qualcosa di unico, di mitico, se il termine non apparisse abusato. Lo stesso Pavarotti, al suo confronto, appare un fatto di mercato.
Come si poneva rispetto al testo musicale?
Idolatrata come sacerdotessa della fedeltà filologica e restauratrice di una lettura rispettosa della partitura, in realtà è stata una studiosa accanita e un’attenta conoscitrice delle tradizioni non scritte; capace di rigore estremo e di verità drammaturgica ai quali sacrificava tutto. Voleva scoprire il significato del personaggio, il valore umano. Andava oltre la lettera, per giungere allo spirito di un’opera. Questo poteva anche determinare deviazioni dalla norma, se ciò aiutava a meglio definire un carattere. Da qui la disputa infinita sul suo ruolo di regina del Belcanto.
Fra i melomani nacque una speciale adorazione.
«Apollo la saettava ogni volta che metteva piede in scena» scrisse Arbasino; «artista misteriosa e sconvolta» per Polo Poli. A tutti, la sua voce sembrava arrivare come un richiamo arcano. Messaggera celeste, tramite fra Dio e l’uomo.

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