Nuovo tassello nel riordinamento in italiano dell’epistolario celiniano, questo tonno dall’impeccabile cura raccoglie un cospicuo corpus di missive scritte dal nostro – grafomane, non osiamo pensarlo all’opera oggi con qualche tipo di social network – durante tutta la sua carriera, dal 1931 al 1961, dagli esordi alla morte, con in mezzo il silenzio della guerra e della fuga e il livore autorigenerante dell’esilio. Si parte con le perorazioni della causa del Voyage, con un’autoconsapevolezza che sfiora la sicumera se non faccia come il culo, in bocca a uno sconosciuto medico di periferia al primo tentativo letterario. E si chiude con la tardiva e conflittuale inclusione del nostro nell’ovattato e prestigioso recinto della Nrf e della Pléiade di Gallimard, il luogo editoriale della classicità francofona. In mezzo la lotta per i diritti all’ultimo sangue con la “zoccola” Voilier, in capo all’editore Denoël dopo l’assassinio dell’omonimo titolare, i tentativi di edizioni clandestine con l’amico Monnier, le piaggerie e gli insulti a Jean Paulhan, sostenitore di Céline e da ultimo suo traghettatore in Gallimard. Ma anche giudizi al vetriolo sulla letteratura contemporanea, amare – e giullaresche, pompose – riflessioni sulla caducità delle cose terrene; anatemi contro gli scrittori “impegnati” che si fanno forcaioli, soprattutto se di fronte a esiti letterari modesti. E poi lo stile, lo stile, lo stile. Quello stile di cui Céline ha fatto ragione di vita tanto da farlo diventare vita, nel bene (dei libri) e nel male (suo). Quell’oltranza portata avanti incurante di ogni possibile fastidio, quel personaggio prendere-o-lasciare che ha tormentato e tormenta generazioni di critici in bilico tra il bilancino, l’impossibile difesa e il malinconico rigetto per ragioni di ordine superiore e morale (consci di cassare il più grande, senza dubbio alcuno, scrittore francese del Novecento). Céline che piagnucola, borbotta, tuona, insulta, mai neutro in una singola frase, che se è gentile affetta, se triste lacrima, se furioso distrugge. Vero padrone del linguaggio – tanto più quando fa lo gnorri – e ossessionato dal benessere borghese che si caparbiamente negato con tutte le sue forze. Soldi. Cash. Numeri. Royalties. Nella maggior parte di queste molte lettere si parla di soldi. E di virgole. Di testi intoccabili nella loro perfezione. Di talento e orrore. Del più umano tra gli scrittori – sta brutta razza, parole sue – mai esistiti. Impossibile farne a meno.