Recensioni / Il genio e il cioccolataio

Le storie dei rapporti tra scrittori ed editori non mancano di fascino e di sorprese. Nei casi peggiori (o migliori per chi li osserva da lontano) non mancano di rabbia, di risentimento, di furia, di paradosso, di umor nero oppure di complicità more uxorio. Il film Genius (5– su 6), del regista inglese Michael Grandage, racconta il corpo a corpo tra il ventenne Thomas Wolfe e Maxwell Perkins, celebre redattore della casa editrice Scribner, cui si deve la scoperta di talenti letterari come Francis Scott Fitzgerald e Ernest Hemingway. Le oltre mille pagine che Perkins riceve dal geniale Wolfe verranno discusse, elaborate, tagliate, corrette e nel 1929 ne nascerà un romanzo di successo, Angelo, guarda il passato, seguito da Il fiume e il tempo del 1935 che l’autore volle dedicare proprio al suo editor, «un uomo onesto e coraggioso, che è rimasto al fianco dello scrittore di questo libro anche nei momenti di profondo sconforto».

Un’altra storia di editoria? Sentite questa. «È pane per un intero secolo di letteratura. Il premio Goncourt 1932 su un piatto d’argento per il Fortunato editore che saprà accogliere quest’opera senza pari, momento capitale della natura umana…». Di che cosa sta parlando Louis Destouches, in arte il grande Louis-Ferdinand Céline, scrivendo all’editore Gallimard nell’aprile 1932? Il medico-scrittore francese, tra i geni letterari più pazzi del secolo scorso, sta parlando di sé. Del manoscritto del suo romanzo Viaggio al termine della notte, che ha appena finito dopo cinque anni di lavoro. Non si può negare che quel tipo sia molto consapevole dei suoi mezzi. Nell’introduzione della raccolta delle Lettere agli editori (appena pubblicata da Quodlibet: voto 5½ su 6), Martina Cardelli accenna giustamente a una consapevolezza «lucida e allo stesso tempo folle»: quella di essere chi si presenta come colui che cambierà per sempre le sorti della letteratura francese. Per di più Céline, in quel 1932, è ancora piuttosto giovane (36 anni), oltre a essere uno scrittore dilettante e sconosciuto. Ciò non toglie che in giugno, dopo soltanto due mesi e mezzo, si è già stufato dell’attesa e ha firmato il contratto con un altro editore, Denoël.

Dunque quando il segretario di Gallimard gli comunica che potrebbero accogliere la proposta («un romanzo comunista contenente episodi di guerra molto ben raccontati» è il giudizio), i giochi sono già fatti: la grande casa editrice parigina ha perso l’occasione di pubblicare un bestseller e un capolavoro, il caso letterario dell’anno, non per averlo rifiutato ma per essere arrivata in lieve ritardo. L’obiettivo di Céline resta però quello di pubblicare presso il più prestigioso editore francese, Gallimard, magari nella collana monumentale per eccellenza, la «Pléiade», dove vengono accolti e celebrati i classici. Cardelli parla di una lunga «storia d’amore contrastata»: ci saranno di mezzo la guerra, la pubblicazione dei pamphlet antisemiti e l’esilio di Céline in Danimarca in seguito all’accusa di collaborazionismo, l’estradizione e l’arresto, la riconquistata libertà e il disonore.

Con l’editore Robert Denoël ingaggia subito un duello sul cosiddetto «editing»: «Per carità non aggiunga una sola sillaba al testo senza avvertirmi! In un attimo farebbe crollare il ritmo – solo io posso ritrovarlo. Potrò sembrarle uno sprovveduto ma so perfettamente quello che voglio. Non una sillaba». E più in là: «Rifiuto nella maniera più assoluta di sopprimere una parola, una virgola». Il che dice della presunzione e della superbia, ma anche dell’autocontrollo ossessivo sulla propria scrittura. Nessun cedimento: a differenza della troppo arrendevole elasticità con cui molti esordienti d’oggi si mettono nelle mani dei redattori editoriali o del marketing pur di vedere uscire i propri libri, illudendosi di ottenere l’agognato successo. Di solito, il rapporto con un editor funziona se lo scrittore non è totalmente prostrato di fronte alle richieste del suo interlocutore e anzi è disposto a combattere una strenua battaglia in nome della propria libertà espressiva e stilistica.

Anche dopo essere approdato nel tempio dorato dell’editoria francese, e cioè finalmente presso Gallimard, Céline rimane un caso estremo, non risparmia insulti, minacce, accuse di poltroneria e di inefficienza: tutta gente che passa il tempo «tra due vacanze e tredici malattie», «all’ospedale, al bordello, sulle Alpi, in fondo al mare, e sulle nuvole». Si infuria se l’editore non risponde al telefono, lancia violente invettive al «vecchio cioccolataio», al «compare Alibi», al «coglionazzo in capo», al «bandito», al «disastroso salumiere», al «pagliaccio». Se la prende con il «coacervo di microcefali» che è la redazione più prestigiosa di Francia. Però, se si fosse arreso debolmente alle richieste di tagliare e appianare qua e là il suo stile, probabilmente ne sarebbe uscito talmente sfigurato da non essere più Céline.

Recensioni correlate