Recensioni / Stefano Boeri rilegge Gragotti, Aymonino e Aldo Rossi: la città scritta

La riflessione di Stefano Boeri sulla città ha come base di partenza la rilettura dei testi di Vittorio Gregotti (Il territorio dell’architettura), Aldo Rossi (L’architettura della città) e Carlo Aymonino (Il significato della città), raccolti in volumi pubblicati per i primi due autori nel 1966, mentre per il terzo nel 1975 con scritti composti fino al 1966.

Anche se i pochi punti di contatto non permettono una lettura univoca, sono da considerare importanti per la storia del pensiero sulla città. “A rendere così rilevanti questi libri – scrive Boeri – è sopra ogni cosa la loro apparizione a cavallo tra gli anni Sessanta e Settanta, in un periodo di inquieta definizione dei principi e assiomi teorici del Movimento Moderno”.

Se Gregotti affronta il tema della città rifiutando la storicità, Rossi ne ricerca i fondamenti primari attraverso un’analisi clinica e tipologica, mentre Aymonino delimita l’indagine alla critica sui processi storici e strutturali legati all’economia urbana. In quest’ottica, questi scritti rappresentano un punto di svolta per le ricerche fino allora condotte, legate soprattutto alla condizione sociale e a nuove esigenze derivate dal rapido sviluppo urbano di quegli anni.

Nei tre libri le nuove problematiche strutturali, che determinano una serie di eventi fino ad allora sconosciuti, non sono prese minimamente in considerazione. “La sfida all’invisibile – prosegue Boeri – ovvero studiare quella parte di città che si sottrae alla vista, quella profonda che ci permette di conoscere per trovare una logica nell’agire presente, diventa il presupposto per un nuovo ordine del discorso”.

Boeri costruisce questa revisione partendo dalla sua tesi di dottorato in pianificazione territoriale nata, come sostiene, dalla necessità di sopperire all’insoddisfazione per il modo in cui l’urbanistica dava conto della condizione urbana: tutti i tecnicismi usati erano indirizzati esclusivamente a regolare il territorio senza tener conto dell’architettura, considerata priva di interesse.

A distanza di cinquant’anni dalla pubblicazione dei tre libri e a trenta dalla prima stesura del testo, si scopre l’attualità degli scritti di Aymonimo, Rossi e Gregotti, una bussola, come sostiene Boeri, per esplorare la complessità del mestiere dell’architettura. Boeri prende ad esempio le loro opere di poco successive alla pubblicazione dei libri: per Carlo Aymonino il complesso del Monte Amiata nel Gallaratese, per Vittorio Gregotti l’Università della Calabria e per Aldo Rossi il Cimitero di Modena.

Tre opere totalmente diverse fra loro, ma tutte accomunate da un potente valore di “manifesto”. Importanti, per Boeri, perché esplicative delle convinzioni linguistiche dei loro progettisti e, soprattutto, rappresentative del percorso intellettuale che i tre libri avevano scelto di indagare e rappresentare.

Nell’ultima parte del volume, Boeri si concentra su Bernardo Secchi e Giancarlo De Carlo, interpreti determinanti per l’urbanistica moderna abilmente delineati in un confronto singolare, che costituisce soprattutto un omaggio a due modi differenti di leggere e scrivere la città.