Recensioni / Suggerimenti bibliografici dall'Olanda del '600 per capire la tolleranza

Ricevuti e archiviati appena tre settimane fa, ancora profumati di inchiostro fresco e immacolati dello (sporchevolissimo) biancore delle copertine delle Edizioni Quodlibet. Pronti, insomma, per essere sistemati nello scaffale dei documenti di prezioso valore teoretico, teologico, storico filosofico, e destinati a ricoprirsi molto alla svelta di polvere. Nel contesto di un archivio diverso, dell’Archivio di idee che, per incominciare, raccoglie le due relazioni di Giuliano Ferrara e Massimo Cacciari in tema di “Disordini a sfondo religioso in Olanda e in particolare ad Amsterdam”, i due scritti di Jarig Jelles – “Professione della fede universale e cristiana” (a cura di Leen Spruit) – e di Isaac de La Peyrère – “I Preadamiti” (a cura di Pina Totaro) – non hanno la faccia di volumi (presto) polverosi. E’, invece, roba che scotta. Contengono, semmai, polvere esplosiva: quella che nell’Olanda secentesca innescò la crisi della coscienza europea, catalizzò il ripensamento della tradizione teologica e filosofica moderna, accese gli strali della Chiesa e della comunità ebraico-portoghese di Amsterdam contro il maledetto Baruch, il Benedetto Spinoza. Prendiamoli in mano (e maneggiamoli con cautela) per vedere meglio di che si tratta. Il primo dei due testi citati, scritto nel 1673, pubblicato nel 1684, tradotto ora per la prima volta in italiano sulla base dell’unica copia esistente al mondo (si trova alla biblioteca dell’Università di Amsterdam, segnatura OK 65-512) è indirizzato allo scomunicato autore dell’“Ethica ordine geometrico demonstrata” e porta la firma del curatore dell’“Opera posthuma” di Spinoza, nonché finanziatore della pubblicazione (in vita) degli studi spinoziani su Cartesio (“Renati Des Cartes principiorum philosophiae”) come del famigerato “Tractatus teologico-politicus” in cui si teorizzava la radicale separazione tra teologia e filosofia. Jelles dunque, intimo del pensatore-molatore di lenti, suo amico e corrispondente e, come lui, commerciante (pare si frequentassero alla Borsa di Amsterdam), condivise con il grande maestro anche temi scottanti di riflessione. Quello, per esempio, della liaison dangereuse tra ragione e cristianesimo che, nel Seicento olandese, diede luogo a roventi polemiche e conflitti: il contrasto tra Arminiani e Gomaristi, la Querelle di Utrecht, la lotta dei calvinisti contro il protestantesimo eterodosso, lo scontro tra Colleganti e Mennoniti, il processo ad Adriaan Koerbagh e, infine, la proibizione degli scritti teologico-filosofici di Baruch Spinoza. Una controversia intricatissima: quanto il groviglio di radici che avrebbe alimentato lo stesso ceppo da cui, contrapposti, si sono biforcati i due rami del pensiero e della religione europei. Estratte dal terreno della Repubblica delle Sette Province – i Paesi Bassi del XVII secolo – analizzate con argomentazioni “more geometrico”, illuminate da “concetti chiari e distinti” – vale a dire nello stile dei due massimi esponenti della nuova cultura filosofica dell’epoca: Spinoza e Descartes – quelle radici paiono meno oscure.
Un’idea, anzi, mettono bene a fuoco: quella (Spinoza ne restò scottato) dell’autonomia dell’intelletto anche in materia scritturale, del libero confronto critico filologico con una Verità che non si voleva “rivelata”, della “Libertas philosophandi” anche in tema di fede. Poi ci sono i Preadamiti: che si presentano scandalosamente da soli, semplicemente annunciando il proprio nome, quali inconcepibili predecessori, precursori, ineffabili progenitori di Adamo. Li immaginò e ne disse il francese Isaac de La Peyrère, nel testo che uscì anonimo e privo di indicazioni di luogo o tipografia nel 1655, ma che scatenò uno dei più clamorosi scandali dell’Europa del Seicento. E si capisce bene perché, visto che il suo motivo cruciale – scandaloso a tutt’oggi – è quello del peccato, e della sua imputabilità alle creature, precedenti o discendenti dal primo uomo, in base alla legge divina. Per farla breve, la tesi dei “Praedamitae” (da leggere ora per la prima volta in italiano, nella traduzione di Giuseppe Lucchesini) è che esistesse un’umanità più antica non solo dell’istituzione delle tavole mosaiche al popolo ebraico, ma anche della legge adamitica rivolta all’intera comunità degli uomini. In occasione della pubblicazione del suo “esercizio” (era, formalmente, un esercizio di ermeneutica, eseguito sull’Epistola di san Paolo ai Romani) La Peyrère soggiornò sei mesi ad Amsterdam e venne in contatto con l’entourage di Spinoza, esercitando sul filosofo – sostenne Leo Strauss – un potente influsso e stimolo sul suo criticismo biblico. L’idea che, rinfocolato dalla rivoluzionaria antropologia preadamitica, il teoreta olandese andava maturando era ancora quella: che l’intelletto naturale è in grado di perseguire il bene e le virtù “per propria eccellenza, non per imposizione di una legge”, che la conoscenza intellettuale, poi, “rappresenta la massima espressione della libertà”. Un’idea da sostenere nell’Olanda di ieri o nell’Olanda di oggi: anche a costo di soccombere.