Recensioni / Il filo rosso della filosofia italiana

[…] Paolo D’Angelo, nel suo giustamente polemico Il problema Croce (Quodlibet Studio, Macerata, 2015) denuncia l’ignoranza e le distorsioni interpretative, anche da parte della filosofia accademica, dell’autentico pensiero del filosofo napoletano. Si continua a parlare di un Croce «provinciale», quando in realtà l’idealismo è stata una delle poche realizzazioni culturali italiane ad avere avuto una risonanza europea e non solo. In realtà il Croce giovane è stato per D’Angelo «un grande eversore», uno spirito libero e coraggioso che, con la sua critica radicale al marxismo, ha aperto la strada al revisionismo al pari del tedesco Bernstein, così come è stato un innovatore nel campo dell’estetica e in quello della teoria della storiografia. Il suo anticonformismo e coraggio civile si sono poi manifestati nella lotta contro le ubriacature nazionaliste degli intellettuali interventisti durante la Prima guerra mondiale che sacrificavano la verità a un malinteso amor di patria, lotta che è proseguita nei confronti della dittatura fascista e del pericolo totalitario comunista che si è affacciato in Italia dopo la Seconda guerra mondiale. Nonostante questo, «a partire dagli anni Sessanta ha preso campo e si è diffusa un’immagine vulgata di Croce, come pensatore retorico, vagamente spiritualista, edificante e ottimista», mentre, in realtà, egli è «un pensatore del concreto», che rifugge dalle elucubrazioni e dal gergo dei filosofi puri. Forse l’avversione e il disdegno verso di lui, che persistono ancora in molti ambienti culturali italiani, nascono dalla crescente estraneità della nostra società a quell’insieme di valori morali e civili che costituiscono la nervatura del pensiero crociano. […]