Eccoci davanti a un quadro che cambia disegno attraverso i movimenti di un liquido sigillato in una busta trasparente, oppure di fronte a una scultura... da prendere a calci. Benvenuti nell’arte cinetica e programmata, dove l’arte non parla a senso unico, non è statica, ma è in divenire. Si libera da schemi rigidi e concepisce modi diversi e mutevoli di relazionarsi fra spazio e tempo. Parte da questo assunto un percorso artistico “visionario” e “rivoluzionario” che porta un gruppo di giovani artisti e designer a fondare nel 1959 a Milano il Gruppo T (come Tempo, appunto) una delle espressioni più importanti di questo tipo in Italia. Giovanni Anceschi, Davide Boriani, Gianni Colombo, Gabriele Devecchi e Grazia Varisco propongono opere d’arte in cui si compiono mutazioni di superfici, colori, di materia e in cui lo spettatore è soggetto attivo, dando un senso veramente compiuto all’opera. Se non si prendesse a calci la scultura di Devecchi (dei parallelepipedi di spugna connessi da un filo elastico) che senso avrebbe? «Considerando l’opera come una realtà fatta con gli stessi elementi che costituiscono quella realtà che ci circonda è necessario che l’opera stessa sia in continua variazione», scrivono nei manifesto i fondatori del gruppo per lanciare una serie di iniziative collettive e personali, in cui spiccano opere come il Grande oggetto pneumatico, che prenderanno il titolo di Miriorama (infinite visioni) e raccoglieranno l’interesse di artisti come Piero Manzoni e Bruno Munari.
Nel divenire del tempo, ecco che quelle idee innovative, per una strana coincidenza (temporale) ritornano. E risultano di incredibile attualità, se non profetiche. Così oggi Si racconta Giovanni Anceschi (è il titolo del libro, appena uscito per Quodlibet, pagine 72, euro 15). Fra le suggestioni che scorrono nel volume del designer e teorico classe 1939 (vincitore di diversi premi fra cui nel 1998 il Compasso d’Oro), ecco la recensione che Manzoni scrisse della prima mostra del Gruppo alla Pater, intitolata Da Milano: «Ciò che di veramente vitale danno i grandi artisti (...) non è tanto una materia, o un gesto o un segno, quanto piuttosto una lezione di attitudine alla vita: la volontà, la forza di far dell’arte, la libertà d’invenzione».
Anceschi, ma anche Gabriele Devecchi. Scomparso nel 2011, dopo una lunga storia “artigiana”, è il figlio Matteo a recuperare e a divulgare adesso l’immenso patrimonio di scritti, oggetti, disegni, opere, sculture. Ha costituito l’Associazione Archivio Gabriele Devecchi e ha prodotto un libretto Tempo d’archivio con testi che non offrono solo «diversi punti di vista, ma anche diverse modalità di rapportarsi a ciò che è, irrimediabilmente, passato». Ma quanto è attuale la sua «scultura da prendere a calci»? E quanto lo sono i suoi pezzi in argento esposti nelle principali collezioni di design? «Spezzare in due un vaso progettato come uno specchio è una catastrofe che produce più forme e moltiplicale immagini riflesse. Piacere per le mani e per gli occhi che godono di questa possibilità dialogica con l’oggetto, non più da contemplare ma da costruire».
Di fronte alle loro opere-scriveva Bruno Munari nel numero 378 di “Domus”, del maggio 1961 – «il pubblico, abituato alla solita pittura, era sempre più disorientato, alcuni giovani erano entusiasti, i critici non si fecero vedere per non compromettersi in cose non ben catalogabili o incerte». L’anno successivo, per la mostra Arte programmata al Negozio Olivetti di Milano, scorre la penna di Umberto Eco: «Non so bene come abbia fatto, ma è sempre stata l`arte per prima, a modificare il nostro modo di pensare, di vedere, di sentire, prima ancora, certe volte cento anni prima, che si riuscisse a capire che bisogno c`era». Il Gruppo T ha ancora molto da dire. Nonostante il Tempo che scorre.