Recensioni / «Convivo con miserie e nobiltà»

Paolo Regis, protagonista di Sacro Gra, racconta l’aristocrazia sabauda di famiglia e la vita in un palazzo occupato da Action nella periferia romana tra Cinecittà e Anagnina

Citando suo nonno che proveniva da una famiglia di conti del Sacro Romano Impero, Paolo Regis parla in realtà di se stesso. «Non sono un nobile, ma un aristocratico», dice, perché «un nobile ha bisogno di conoscere il suo pedigree, un aristocratico invece non ha bisogno di sapere da dove viene». È un modo elegante per sgattaiolare dalla domanda che si è posto chi lo ha visto al cinema in Sacro Gra e ne è rimasto immancabilmente colpito: cosa ci fa quel signore con l’aria a metà tra l’ascetico, il vecchio saggio e il nobile decaduto in una casa occupata dell’estrema periferia romana?
Visto da vicino, Paolo Regis è esattamente così: uno “squatter aristocratico” che ama parlare di re e regine mentre è alle prese alle prese con il sottoproletariato urbano capitolino. O, al contrario, un settantenne attivista metropolitano che partecipa alle assemblee di Action e alle manifestazioni di piazza con il sopracciglio alzato e l’aplomb di un gentiluomo d’altri tempi. Gianfranco Rosi se n’è innamorato e ne ha fatto un personaggio da cineteca e dopo di lui Paolo Sorrentino gli ha dato una piccola parte in La grande bellezza, quasi a tessere un filo ideale tra due modi di vivere Roma che non potrebbero apparire più distanti.
MA PRIMA DI TUTTI lo aveva scoperto il paesaggista Niccolò Bassetti, quando aveva deciso di percorrere a piedi, da esploratore urbano, i 68 chilometri del Grande raccordo anulare che racchiude con sempre maggiore difficoltà la capitale d’Italia. Si sono conosciuti, hanno stretto amicizia e ancora oggi Paolo Regis collabora al progetto cominciato ancora prima del film (di cui Bassetti è stato sceneggiatore) e che prevede la creazione di un laboratorio multidisciplinare sulle trasformazioni della città.
MA TUTTO CIÒ non gli ha modificato la vita: ogni mattina Paolo Regis si sveglia nel suo mini-appartamento di poco più di 20 metri quadri, al settimo piano dell’ex direzione generale dell’Inpdap trasformata in mini-appartamenti, attraversa la strada e aspetta il bus che da Campo Farnia lo porta a Cinecittà. Da qui prende la metropolitana verso Termini, per poi cambiare in direzione Garbatella, dove lavora in un anonimo ufficio sulla via Cristoforo Colombo. Prepara le rassegne stampa per aziende, grazie a «un programma ideato da Clio Napolitano per persone che si trovano in condizioni difficili, con l’idea che possano risollevarsi attraverso il lavoro». «Guadagno 680 euro al mese e con questi cerco pure di aiutare chi ha bisogno di una mano», come il suo compagno di pianerottolo Giovanni, un romano di madre eritrea che da 33 anni chiede una casa popolare senza ottenerla e nel frattempo alloggia nel palazzone un tempo destinato a uffici, occupato il giorno dopo Ferragosto del 2016, poi trasformato dal Comune in Centro di assistenza alloggiativa temporanea. Come gli altri 400 occupanti, sarebbe dovuto rimanerci per un anno, ma a Roma quando si parla di emergenza casa non c’è amministrazione che non tenga fede al motto che non c’è nulla di più definitivo del provvisorio.
IL RESTO DEL TEMPO lo trascorre in casa a scrivere le sue memorie. La lettura di qualche stralcio descrive una grama quotidianità: «Sono venuti Franco e Raimondo e ci hanno portato un fornello elettrico a una piastra, due padelle in verità un po’ sofferte, una conca di plastica verde acqua, posate varie da tavola, un set di mestoli, una schiumarola, una padella per fritti, uno di quegli aggeggi per prendere gli spaghetti. Giuseppina, la compagna di Raimondo, ha fatto una colletta affinché potessimo avere qualche spicciolo per le prime necessità». A parlarci, però, affiorano memorie di tutt’altro. tenore. La sua famiglia, spiega, non aveva titoli nobiliari ma «aveva una partecipazione molto forte con l’ambiente patrizio». Il cognome Regis sarebbe legato a un «pegno» chiesto da Carlo V a un loro avo balcanico, protagonista della guerra ottomano-asburgica, in cambio della concessione di un pezzo di regno longobardo. Sua nonna, racconta, parlava in francese con la regina Margherita e l’italiano «era la prima delle lingue straniere». Perciò, quando Mario Soldati «aveva proposto a mia madre di recitare in Malombra, mio padre rispose “Scordatelo”: nel mio ambiente non era neppure contemplata la possibilità che una donna potesse fare l’attrice».
PAOLO REGIS si è trasferito a Roma nel ’97, con la moglie e una bambina piccola. Da grande, vediamo pure lei in Sacro Gra. Glissa sulla «lunga serie di fortune e sfortune economiche» che lo hanno ridotto «in braghe di tela», accennando solo al padre, che lavorava alla Banca Agricola Italiana, che perse tutto in due crac di borsa, nel ’54 e nel ’56, a un’eredità milionaria materna finita a due cugine, a un licenziamento da una banca inglese nella quale lavorava a Londra («li ho scoperto cos’è il liberismo vero») e a ulteriori rovesci economici legati alla consorte. «Quando hai una certa età ricominciare è difficile», dice.
Dal 2004 al 2006 ha vissuto a Garbatella, prima all’affitto per 30 euro al giorno da una conoscente e in seguito per sei mesi in una casa popolare dell’Ater. Finché, sfrattato per morosità, lo «squatter aristocratico» si è unito al movimento di senzacasa Action ed è finito in quest’edificio con vista sugli aerei che atterrano e decollano da Ciampino, circondato da palazzi nuovissimi, villette con giardino e tanta campagna, tra Cinecittà e Anagnina. «Così ho conosciuto la suburra capitolina», sorride.
NELLA GALASSIA dei 130 mila senza casa romani, una sorta di città nella città, questo signore alto due metri e con la lunga barba bianca, che parla un italiano forbito senza scomporsi in nessuna occasione, non passa inosservato. Come un marziano catapultato in un mondo alieno, conserva un’alterigia che gli consente di osservare il mondo che lo circonda con occhio lucido e disincantato.
In dieci anni di vita in una casa occupata, ha maturato la conclusione che la questione abitativa nella capitale è resa tale da piccoli e grandi interessi che spingono perché lo status quo non sia intaccato. Dice: «Dobbiamo essere coscienti dei problemi che abbiamo e che ci impediscono di arrivare a una soluzione comune», a cominciare dalla «borsa nera delle residenze» fino a quel sistema che definisce di «corruzione parcellizzata».
Bisogna ammettere, sostiene, che non tutti gli occupanti sono uguali: «C’è chi si approfitta della situazione, perché in fondo qui si vive senza pagare affitto e bollette, mentre noi che veniamo dalle occupazioni politiche cerchiamo di ottenere il riconoscimento di diritti per tutti». Il sindaco Ignazio Marino e l’allora assessore alle Politiche sociali Francesca Danese avevano cominciato un censimento delle condizioni economiche delle persone che vivono nei Caat e nelle case popolari e questo, se portato a termine, farebbe finalmente giustizia di chi fa il furbo («una zavorra», li definisce) a discapito di chi non ha un tetto sotto il quale dormire. Fare chiarezza, a suo parere, è un compito pure dei movimenti per la casa, che ne uscirebbero rafforzati.
POI CI SONO le responsabilità dei costruttori. Basterebbe che rispettassero le leggi, destinando il tre per cento degli edifici a edilizia residenziale pubblica, per dare un tetto a tutti. Ma è un problema atavico: suo nonno, all’indomani di Porta Pia, aveva accettato l’invito di re Umberto I a costruire la Roma sabauda, ma aveva fatto marcia indietro proprio perché «c`erano già i palazzinari».
«Per la mia famiglia Roma è stata un pessimo affare», chiosa. Non per suo padre, che veniva spesso ad accompagnare una sua amica «che apparteneva ai Mercurino Gattinara, un cui avo era stato segretario di Pio V». «Abitavano a Palazzo Torlonia in via della Conciliazione, insieme ai re di Spagna in fuga dal regime franchista», racconta, e la vista del Cupolone dava un`altra prospettiva sulla capitale.
Paolo Regis vede sfilare davanti alla sua finestra gli aerei che salgono e scendono dall’aeroporto di Ciampino, e non è la stessa cosa. Ma lui è contento così, perché «non devo preoccuparmi di nulla»: «Quando vedo i giovani di oggi mi dico che sono costretti a vivere di angosce». Ha perso tutto e non rivendica nulla. Fosse stato ricco, non avrebbe saputo che farne dei soldi. Dice che li avrebbe portati alla banca Rothschild chiedendo loro di gestirli, poi gli avrebbe imposto di acquistare il palazzo in cui abita «per darlo agli occupanti». «Di sicuro mi avrebbero bloccato sostenendo che si sarebbe trattato di un investimento sbagliato», chiude sciogliendosi in un sorriso. Come a dire: avete capito per quale motivo mi trovo qui e non altrove?

IL PROGETTO SACRO GRA
Il progetto Sacro Gra è nato da un’dea del paesaggista-urbanista Nicolò Bassetti, che ha deciso di percorrere a piedi e con altri mezzi (autobus, metropolitana, treno) il territorio lungo il Grande Raccordo Anulare. Un viaggio lento in una Roma sconosciuta e contemporanea, tra le cave romane di tufo rosso che hanno ospitato carnevali ottocenteschi; il mondo lunare di Malagrotta, la più grande discarica d’Europa; la fattoria modello di Mussolini; i piccoli e grandi accampamenti; le tombe pop del Cimitero Laurentino; la guerra per le anguille sul Tevere; le vecchie borgate dei braccianti e le gigantesche architetture sociali; le transumanze dei pastori e le oasi equatoriali. Dal progetto è nato prima un libro di Nicolò Bassetti e Sapo Matteucci (Sacro Romano Gra, editore Quodlibet), poi il film di Francesco Rosi che ha vinto il Leone d`oro al Festival di Venezia.