Recensioni / Non solo Sassi nel futuro di Matera città-laboratorio

Un volume dell’urbanista barese Mininni: il paesaggio murgiano oltre la frammentarietà della capitale 2019

Chissà cosa si aspettano. Appare all’improvviso ai turisti il burrone dei Sassi, quei due coni rovesciati che «hanno la forma con cui a scuola immaginavamo l’Inferno di Dante. E incominciai anch’io – scrive Carlo Levi in Cristo si è fermato a Eboli – a scendere, per una mulattiera, di girone in girone fino in fondo». Il passaggio dall’inferno di esistenze trogloditiche a scenario cinematografico e spazio della creatività e dell`immateriale ha trascinato dietro di sé illusioni e disinganni, retoriche ora di sviluppo inarrestabile ora di decrescite felici. Ma, diciamolo infine, ci aveva visto giusto Manfredo Tafuri nel suo studio per orientare i partecipanti al concorso per la riqualificazione dei Sassi (1974), quando diceva che i Sassi sono stati un pretesto «per un’incentivazione artificiale dell’economia edilizia e per una Riforma Agraria funzionale al controllo e alla gestione capitalistica del sottosviluppo».
Serve uno sguardo nuovo su quel che è successo e il dibattito attuale sul paesaggio può offrire strumenti adatti. Non è passato molto tempo da quando a Matera si è discusso di immagini, racconti e percezioni con il convegno «Questo (non) è un paesaggio», titolo che riecheggia l’inesistenza della città concreta proclamata da Levi nel ’45. Scopo dell’iniziativa curata da Silvana Kühtz e Francesco Marano, per l’università della Basilicata, era di pensare il paesaggio al di là delle sue definizioni disciplinari. Una strategia divergente che tuttavia non contraddice quella autocritica che si fa spazio nell’urbanistica e di cui è prodotto recentissimo la ricerca condotta da Mariavaleria Mininni, docente al dipartimento di architettura Dicem: Matera Lucania 2017. Laboratorio città paesaggio (Quodlibet ed., pp. 308, euro 32,00).
«Oggi Matera – afferma Mininni – è sottoposta ad una sovraesposizione mediatica ed è oggetto, in alcune sue parti, di un eccesso di narratività. Le sue rappresentazioni viaggiano nell’immaginario dell’esotico e del nuovo pittoresco». A questa bulimia di produzione simbolica fomentata dalla candidatura e poi dalla proclamazione di Matera a Capitale della cultura europea 2019, Mariavaleria Mininni contrappone una lettura critica della contemporaneità. Il punto di vista della storia della trasformazione del territorio dell’ultimo mezzo secolo abbondante consente di vedere più chiaramente sia i limiti che hanno segnato la stagione del riformismo, sia la sopravvivenza di condizioni del Moderno.
Il lascito più significativo del Moderno materano – a giudizio della studiosa barese – non è tanto negli spazi e nelle forme del disegno urbano, così come esso si è dato negli anni, non nei protagonisti dell’architettura (le cui figure pur straordinarie – da Quaroni a De Carlo a Ettore Stella – rimangono nell’ombra, fra le pieghe delle pagine del libro) e nemmeno nella pur decisiva dimensione delle quantità di città pubblica (ben un quarto di tutto l’edificato), ma nel perdurante carattere di laboratorio. Prima laboratorio della evacuazione della popolazione dai Sassi (il piano Piccinato del ’53), poi laboratorio economico e antropologico di evoluzione del contadino in cittadino (il piano regionale di Adriano Olivetti e i programmi di Riccardo Musatti), poi laboratorio del recupero dei centri storici, oggi laboratorio di una inedita città-paesaggio.
La prospettiva di progettare Matera come un «ecosistema urbano» capace di tenere insieme turismo e agricoltura, cerniera della efficienza economica, non può prescindere dalla lettura delle tensioni contemporanee. E Mininni affida a una scheda dell’«Atlante» che inframmezza il volume, un giudizio netto, senza reticenze sul piano regolatore attuale, commissionato 18 anni fa a Gian Luigi Nigro e a Amerigo Restucci (che poi si defilò) e approvato nel 2006: «giustificazione tecnica e avallo delle scelte di una politica che si fa garante della rendita fondiaria, ormai senza più la giustificazione dei bisogni». Saturate le aree libere, «al piano non resterà che confermare un disegno urbano che è un esito a posteriori di una incessante attività di contrattazione, in cui la figura urbana che disegna è il frammento», mentre «il sistema del verde del piano Piccinato, eroso da più parti, perde forza e vigore di fronte a una città diventata troppo grande e con troppe case».
Da una parte la visione di area vasta, che non vuol tradire l’intuizione delle nuove centralità che aveva ispirato Luigi Piccinato, dall’altra la tendenza alla frammentazione dello spazio e delle relazioni. Ecco la tensione dell’oggi. «La continuità del Moderno non è esente da tortuosità di percorso e da posizioni che presentano divergenze circa le prospettive di sviluppo e le strategie da mettere in campo. La stessa declinazione di innovazione di creatività – avverte Mininni riferendosi al Programma culturale di Matera 2019 – risulta essere alquanto complessa e in certa misura costituisce un indicatore di frammentazione sociale». All’orizzonte, la ricomposizione dei frammenti potrà avvenire nella dimensione di una «Matera-non-solo-Sassi», nella dimensione di città-territorio, polo di un sistema murgiano insieme a Gravina e Altamura, «porta di una internità nascosta».