Recensioni / Epistemologia. Un'introduzione alla teoria della conoscenza

Questa traduzione agevola la lettura di un manuale di filosofia della conoscenza la cui importanza può esser testimoniata dal solo fatto che esso è stato pubblicato nel 1998 e poi più volte riedito, l’ultima nel 2011; la traduzione si basa su quest’ultima versione. L’autore insegna alla University of Notre Dame (Indiana, usa) ed è molto noto per i suoi lavori nell’ambito dell’epistemologia e in altri campi, come l’etica, la filosofia politica, la teoria dell’azione e la filosofia della religione. Si può riconoscere un tema unificante della sua indagine nella teoria generale della razionalità; un lavoro esemplare in tal senso è The Architecture of Reason del 2001, ove Audi ha proposto un raccordo tra le dimensioni proprie della ragion teorica e della ragion pratica. In questo manuale è offerta un’analisi dei maggiori problemi sulla conoscenza, sebbene declinata rispetto all’intento didattico del testo. Una nozione sulla quale ci s’intrattiene più a lungo è quella di giustificazione ; gli ultimi due capitoli (13-14), dedicati all’esame dello scetticismo, permettono di apprezzare il lavoro compiuto a tale proposito nelle sezioni precedenti.
Audi procede secondo la metodologia della filosofia analitica classica, attraverso reiterate distinzioni concettuali e la relativa verifica con ipotesi controfattuali. Sono minimi i riferimenti ai classici, pressoché assenti le citazioni di autori estranei alla letteratura anglosassone contemporanea, scarsi i riferimenti a discipline affini come la filosofia della mente o le scienze cognitive. Invece, il più grande sforzo è volto a ottenere sui pochi materiali via via considerati la massima precisione e chiarezza, attraverso una discussione che percorra sino in fondo tutte le possibilità logicamente immaginabili. Il contrasto teorico su cui più di frequente si rivolge l’attenzione, e rispetto al quale sono classificate tutte le altre numerose posizioni presenti nel dibattito odierno, è quello tra internismo ed esternismo ; cioè, grosso modo, tra una prospettiva che sottolinea la responsabilità del soggetto nel processo cognitivo e una prospettiva che privilegia la funzione determinante, causale o normativa, dell’oggettività.
La concezione complessiva che si ricava dal testo è un realismo fondato su quelle fonti cognitive primarie che assicurano un contatto diretto, sebbene non perciò infallibile, della mente con la realtà: la percezione e la ragione (quest’ultima in quanto direttamente apprensiva del rapporto necessario tra concetti). L’autore propone, quindi, un fondazionalismo moderato, “esternista” (ossia fondato sulla realtà esterna al soggetto) rispetto alla costituzione oggettiva e alla verità della conoscenza, e “internista” (ossia fondato su dati e atti accessibili all’introspezione) rispetto al processo riflessivo e argomentativo della giustificazione.
La prima parte del volume (capp. 1-7) è dedicata alle fonti basilari della conoscenza (quelle appena menzionate, la percezione e la ragione) e alle altre modalità cognitive che vi si appoggiano per conservare e trasmettere la conoscenza già acquisita: la memoria e la testimonianza. La seconda parte (capp. 8-9) è de dicata all’organizzazione inferenziale del sapere e alle relative aporie (ad esempio, il regresso infinito nella fondazione); qui è vagliata con un certo dettaglio la posizione rivale di quella sostenuta dall’autore: il coerentismo. Nella sezione terza (capp. 10-12), Audi giunge a una sintesi complessiva, affrontando le questioni concernenti la validità della definizione “tradizionale” della conoscenza come credenza vera giustificata. Quindi discute le maggiori teorie contemporanee che vi sono impegnate, come le diverse teorie della verità (corrispondenza, ridondanza, coerentismo, pragmatismo) e della conoscenza (teorie naturaliste, affidabiliste ed “epistemologia della virtù”).
L’elaborazione delle ipotesi controfattuali indirizzate, come i famosi argomenti di Gettier, a saggiare la definizione tradizionale della conoscenza, consentono ad Audi di sostenere la relativa indipendenza tra il concetto di conoscenza e quello di giustificazione. Dunque, può darsi conoscenza anche laddove non vi sia piena certezza né la possibilità di una legittimazione giustificativa. In tale prospettiva, è dato speciale risalto al valore epistemico dell’autoevidenza e dell’intuizione. Ecco un passo in cui l’autore offre una sorta di definizione della conoscenza: «la conoscenza è credenza vera basata nel modo giusto su un tipo di fondamento giusto» (p. 374). Il fondamento giusto è identificato tra le fonti primarie che consentono un diretto accesso al reale (quelle descritte nella prima parte del testo); il modo giusto è quello secondo il quale tale accesso, che è all’origine di una credenza vera, non si dimostra a ben vedere apparente o puramente casuale (questi casi invalidanti sono studiati con speciale accuratezza nella sezione terza e nei capitoli finali sullo scetticismo).
La bontà della sintesi raggiunta è messa messa alla prova attraverso l’applicazione ad alcuni ambiti specifici: la conoscenza scientifica, morale e religiosa. Per la prima, Audi sottolinea ch’essa non è univocamente riconducibile alla certezza oggettiva garantita dalla deduzione, riconoscendovi invece la funzione prevalente del procedimento induttivo; perciò ribadisce la natura fallibilista del sapere scientifico. Di qui il venir meno di un’opposizione irriducibile tra la scienza e altre modalità cognitive, come quella morale. A tale proposito, l’autore discute il non cognitivismo etico, che si alimenta appunto a quell’opposizione per ricondurre le credenze morali alla sola sfera emotiva o decisionale. Il filosofo americano sostiene invece l’esistenza di autentiche evidenze morali e di una correlativa capacità percettiva (questo è il tema dell’ultimo lavoro di Audi, Moral Perception, 2013). Analogamente, sul terreno della credenza religiosa, Audi sostiene l’esistenza di una percezione teistica la quale, sebbene non possa confermarsi con argomenti rigorosi d’ordine metafisico ed epistemologico, nondimeno può fondarsi in una visione comprensiva del mondo che sia almeno coerente con la ragione (ossia non irrazionale, seppure non propriamente giustificabile), in modo simile a quanto avviene nell’apprezzamento dei valori estetici. Peraltro nel già citato The Architecture of Reason, Audi aveva illustrato il carattere cognitivo e percettivo della ragionevolezza connessa alla saggezza.
La traduzione rende molto bene la limpidezza del testo originale (il traduttore, Paolo Monti, è uno specialista di Audi), pur se le sue finezze concettuali e la continua riproposizione di esperimenti mentali, talora assai artificiosi, richiedano un’intensa attenzione, non abbastanza confortata dalla relativa esiguità di esemplificazioni concrete, ovvero di autentiche ricognizioni fenomenologiche. Inoltre, il procedimento analitico lineare si consolida di rado in sintesi didattiche, quali definizioni, schemi o riassunti, che consentano di recuperare con facilità una visione d’insieme. Questa cura didattica è invece diffusa nella manualistica contemporanea, specie nell’area anglosassone. Peraltro, l’indice dei concetti e dei nomi presente nell’originale ma non nella traduzione, sarebbe stato utile in tal senso.
Con tutto ciò, il presente libro è certamente uno tra i migliori manuali di filosofia della conoscenza oggi disponibili. Si distingue specialmente per l’equilibrio, la solidità e il carattere sistematico della concezione presentata. Questa pubblicazione fornisce, quindi, al lettore italiano, soprattutto agli studenti di filosofia, uno strumento assai prezioso.