Recensioni / Ridefinire i contenuti e modificare gli spazi mediante la teoria dell’architettura

Se i quasi rivoluzionari anni Settanta del secolo scorso, visti ad una distanza consentita dal tempo, ancora oggi appaiono fortemente suggestivi, in architettura e nel design, per molti aspetti culturali, essi si mostrano ancora sia come bordo di abbrivio per le navigazioni di oggi, sia come sponda di appoggio di una consapevolezza identitaria. Per il design, basti pensare all’importanza in crescita e sempre attuale della XV Triennale di Milano (1973), fondata sulle questioni dei nuovi stili di vita e di un uso migliore e più implementato degli spazi abitativi, grazie alle nuove potenzialità tecnologiche e alle intersezioni di simmetrie e asimmetrie. All’interno di quell’evento, significative indicazioni anche a futura memoria vengono dalla “Mostra Internazionale di Architettura” curata da Aldo Rossi, che sottolinea la rilevanza della cultura architettonica italiana a livello internazionale, dalla “Mostra Internazionale del Design industriale” curata da Ettore Sottsass e Andrea Bronzi, dalla mostra “Contatto Arte-Città”, dedicata alle sollecitazioni provenienti nel design dall’arte contemporanea. Né va dimenticata la mostra del 1972 al Moma di New York, che legittima a livello internazionale “The New Domestic Landscape” di marca italiana. Per effetto di ricaduta di tali eventi e dintorni, crescono sotto il profilo dell’esemplarità i livelli di esami critici dell’architettura per un potenziamento del progetto.
Ma gli anni Settanta e la centralità italiana assunta in quel periodo costituiscono anche l’asse fondamentale di un discorso, destinato ad avere ulteriori sviluppi e potenziamenti, sui rapporti fra architettura e politica, che era già in incubazione e che trova nel libro di Aureli un’esemplare interpretazione. Questo denso volumetto, pubblicato negli Stati Uniti nel 2008, viene riproposto con ritocchi e integrazioni anche in italiano. L’autore è un architetto italiano, che ha trovato ascolto e riconoscimenti prestigiosi a Zurigo, a Bruxelles, negli Usa, nel Regno Unito.
Il saggio si costituisce su griglie compatte e solide di un’analisi stringente dello stato delle cose del passato e del presente, ai fini di una proiezione in avanti dell’architettura con un suo ruolo trainante e autonomo.
Il reticolo di base è dato da una rivisitazione appassionata, ma non revivalistica dei dibattiti e delle ricerche in Italia sul che fare in politica, come in architettura, per una consapevole riappropriazione della terribile crisi, che investe l’economia e la società nel suo complesso a livello planetario, di maniera che essa diventi risorsa per nuove strategie e un nuovo indirizzo da dare ai comportamenti e al progetto stesso.
Per tale scandaglio, luogo fondamentale di snodo è l’idea di autonomia sviluppatasi appunto negli anni Settanta in Italia. Così vengono inquisiti gli avvicinamenti delle punte di contatto con l’autonomia di volta in volta in sede storica (C. Castoriadis, M. Hardt, T. Negri, M. Tronti), nella battagliera e propositiva sinistra del tempo, in particolare quella di “Quaderni rossi”, lo rivista fondata e diretta da R. Panzieri, nelle prospettive intellettuali (F. Fortini e altri), nel pensiero politico radicale e negativo, infine, in architettura. In tale ambito, tre sono le soste fondamentali: su Manfredo Tafuri che applica in modo rigoroso la critica dell’ideologia all’architettura e alla città, su Aldo Rossi e il concetto di luogo come categoria politica della città, su Archizoom e la sua critica radicale dell’urbanistica e dell`architettura usate come supporto del sistema capitalistico in crisi, per la costruzione di un nuovo profilo non umanistico, non figurativo, non compositivo dell’architettura, ma aperto alla spazialità “fredda, estendibile all’infinito”.
L’orizzonte in ultimo si apre anche a considerare il dopo Tafuri-Rossi-Archizoom, con rifiuti totali di ogni postmodernismo, per approdare quindi alla necessità di ripensare e ridisegnare la funzione della teoria in ambito architettonico: è proprio nel lavoro teorico, conclude Aureli, “che l’architettura come forma di conoscenza, come modo di comprendere le cose, si riappropria del proprio spazio, che è quello di pensare, di criticare e, se possibile, di cambiare lo spazio in cui viviamo e lottiamo”. Così, il cerchio si chiude e, insieme, si delinea una frontiera avanzata e agonica, oggettivamente e storicamente legittimata dalle utopie rinascimentali e dal costruttivismo illuministico, per prolungarne il movimento.

The almost revolutionory 1970s, seen from the distance allowed by the passage of time, remain strongly evocative periods of architecture and design. They continue to function in terms of a number of cultura) aspects as both a springboard for contemporary exploration and as an anchor point of our sense of identity. As far as design is concerned, for instance, the 15th Triennale di Milano (1973) remains current and continues to grow in importance for its focus on new lifestyles and improved and more articulate uses of living spaces made possible by new technologies and the intersections of symmetries and asymmetries. Several exhibitions under the event’s umbrella are of lasting significance to the benefit of posterity, including the “International Architecture Exhibition” curated by Aldo Rossi, which underscored the importance of Italian architectural culture on an internotional level, the “International Exhibition of Industrial Design” curated by Ettore Sottsass and Andrea Bronzi, and the exhibition “Contatto Arte-Città,” which was devoted to the influences of the design world on contemporary art. Nor should we forget the 1972 exhibition “Italy: The New Domestic Landscape" at the MOMA in New York, which showcased the forefront of Italian design. A spill-over effect of the exemplarity of these and related events was a rise in the levels of architectural criticism, resulting in improvements in the design process.
The 1970s and Italy’s centrai role during that period also come together to form the cornerstone of a discourse – interpreted in an exemplary manner in Aureli’s book on the relationship between architecture and politics, a topic that continues to develop and expand today. This densely written little book, published in the United States in 2008, has recently been revised and integrated for publication in Italian. The author is an Italian architect who has gained prestige and been awarded accolades in Zurich, Brussels, the USA, and the United Kingdom.
Aureli develops his essay over the compact and solid framework of a compelling analysis of the state of things both past and present, with the aim of promoting the cause of architecture as an autonomous driving force. He presents an impassioned but not revivalist reinterpretation of the discussion and research that Look piace in Italy on how to proceed in politics, as in architecture, for a conscious re-appropriation of the terrible crisis affecting the economy and sociely as a whole on a global level, with the aim of providing a resource for the adoption of new strategies, new behaviors, and a new approach to design itself.
A fundamental pivot point of this analysis is the idea of autonomy as it developed in Italy during the 1970s. The author investigates the evolution of the Italian autonomous movement through the point of view of its successive vanguards (C. Castoriadis, M. Hardt, T. Negri, M. Tronti) from the combative and proactive left of the times, examining in particular the journal “Quaderni rossi,” founded and directed by R. Panzieri, intellectual criticism (F. Fortini and others), and finally, radical and negative political thought as it emerged in architectural theory. In this context, we can identify three fundamental protagonista: Manfredo Tafuri, who applied his critique of ideology in architecture and planning in an extremely rigorous manner, Aldo Rossi, with his concept of piace as a political category of the city, and Archizoom, who, as a radical critique of city planning and architecture as a means to support a failing capitalist system, developed a new form of architecture that was non-humanistic, nonfigurative, and non-compositional, suitable for “cold, infinitely expandable” urban spaces. The book goes on to consider the period that followed Tafuri-Rossi-Archizoom, with its complete refusal of every aspect of postmodernism, arriving instead at the need to rethink and redesign the function of architectural theory. It is precisely in theoretical work, Aureli concluder, “that architecture as a form of knowledge, as a way of understanding things, takes possession of its own space, which is to think, to criticize and, if possible, to change the space in which we live and struggle.” Thus we come full circle. In defining the directions of an advanced, agonal frontier, objectively and historically legitimized by the Renaissance utopias and by enlightened constructivism, we prolong its progress.