Il pittore figlio di Alberto e nipote di Giorgio de Chirico: Fautore della “Gerusalemme liberata” come specchio
Sosteneva Alberto Savinio (nell’inaggettivabile Nuova enciclopedia da poco riproposta da Adelphi) che nei refusi, a chi sappia coglierne il ritorno del rimosso, c’è talora più verità che nelle lezioni corrette (una verità oggi minacciata, come altre, dagli automatismi informatici che sempre più occhiuti ci sorvegliano). Sicché non sarà forse un caso se, cominciando questo pezzo col nome di suo figlio Ruggero, mi sia venuto scritto «Savibio». Un lapsus che allude al trepido smarcarsi dall’Ombra paterna (e ziesca) che da sempre connota 1’esistenza del figlio (e del nipote), nella pittura come nella scrittura (perché dai Dioscuri di famiglia gli è toccato ereditare, anzitutto, questa ancipite passione). Ma contiene pure quel bios al quale, in nessun altro dei suoi libri quanto in questo, Ruggero ha voluto dare accesso.
Non si pensi però, avendo il protagonista passato la soglia degli Ottanta, al trionfalismo d’un cursus honorum; e neppure a quelle memorie zeppe di nomi di Chi Ha Conosciuto Tutti (di compagni di strada illustri, anzi, qui non si fa cenno; mentre un ruolo chiave ce l’ha un compagno senza nome che un giorno, negli scuoranti anni Quaranta, lo porta a vedere L'Uomo invisibile, destinato a restare eloquente avatar). È autobiografia ma, subito, è letteratura. La quale, del resto, è parte della vita di ciascuno di noi: e non solo per le letture, ma per i tanti spiracoli attraverso i quali ci fa visita a sorpresa, questo demone intrigante. Prendiamo il titolo del libro, che si riferisce alla scuola dove studiò Ruggero; solo che l’autore cui è intitolata retroagisce, poi, come un soprassalto: quando una committenza casuale fa rileggere a Ruggero la Gerusalemme liberata, in particolare l’episodio di Erminia fra i pastori (archetipo di quell’Età dell’Oro, sempre rimpianta e mai vissuta, mito per eccellenza soprattutto della sua pittura).
Riscopre così, l’autore, una verità profonda di se stesso: e cioè che, sebbene suo padre abbia imposto, a lui e a sua sorella, i nomi impegnativi di Ruggero e Angelica, la sua anima non è ariostesca bensì tassiana (del resto l’ultimo lavoro di Savinio padre furono le scene per l’Armida di Rossini – tratta appunto dalla Gerusalemme – con la Callas, al Maggio musicale del ’52). «Se Ariosto è la leggerezza e la grazia, Tasso è la pesantezza»: la pesanteur di un’aria e di una luce infantasmate (per usare una bellissima espressione di Ruggero) come 1’esistenza di chi scrive, per tanti motivi, è stata «malinconica, introversa e portata alla cupaggine». Lo conferma, con ulteriore coincidenza davvero spettrale, che la casa romana dove vive Ruggero con la sua Annalisa sia alla convergenza proprio di via Ariosto e della, anche storicamente cupissima, Via Tasso. Quasi mai evocato, questo sottofondo storico è un segreto in piena luce: se è vero che il quotidiano di chi scrive è turbato dal torreggiare torvo, davanti alle proprie finestre, di una sede dei Servizi Segreti in costruzione (un po’ come in uno dei testi più enigmatici, e forse più segretamente autobiografici, di suo padre: La casa ispirata).
Una biforcazione che pare ripetere quella all’inizio della Recherche: e, sebbene la scrittura di Ruggero Savinio, sempre tentativa e in apparenza compassata, si ponga agli antipodi di quella sontuosa e compiaciuta di Proust (come di quella, nervosa e fosforescente, dei totem di famiglia), una logica non così diversa da quella pare governarne la struttura: in cui «un tempo si mescola a un altro», proprio come la pittura fa sempre riferimento, sostiene Ruggero, a «un tempo fuori dal tempo, o meglio a un tempo che li contiene tutti». Da questa così squisitamente saviniana libertà di pensiero provengono i salti aritmici, i colpi di sole che di continuo perforano, nel testo, la coltre pesante della vita. Proprio come nei dipinti di Ruggero: quando, dove meno ce lo si aspetta, d’improvviso riluce – nelle pieghe d’una figura affumicata d’ombra – il barlume di un Oro tanto segreto quanto inconfondibile.