Recensioni / Il memoir di Savinio zeppo di personaggi

Il pittore e scrittore Ruggero Savinio si racconta in un libro dedicato alle amicizie e all’amore per la poesia: Il cortile del Tasso, Quodlibet. Arrivato alla condizione di «vivente anziano, quindi provvisorio», contempla il grande palazzo davanti casa sua, sigillato entro un cantiere interminabile, e rievoca momenti e figure del passato. Dato che un comitato ha deciso di abbellire la struttura del cantiere dovrà disegnare un bozzetto, ispirato alla Gerusalemme liberata, che poi sarà eseguito dai bambini della scuola. La tonalità di queste pagine consiste in un autunno felice, in un esercizio malinconico e trasparente del dubbio. E così la scrittura è trasparente, esitante e lieve, fatta di discrezione, eleganza, e anche di apprensione. Solo a tratti si contrae inaspettatamente in una idiosincrasia: ad esempio contro Gertrude Stein.
Straordinario memoir popolato di personaggi noti e sconosciuti, di artisti e di gioiellieri, di ex compagni di scuola e di ex docenti, di intellettuali e gente semplice, di amici fraterni e di fanciulle in fiore. E anche meditazione sulla vecchiaia, sulla sua vitalità in parte debilitata in parte sorprendentemente resistente.
Struggente il ricordo del padre Alberto, per il quale ogni nuova impresa è tenere in scacco la morte, come nel celebre film di Bergman. La vera utopia di Ruggero consiste nel cercare un cortile (“rifugio mentale”), per sottrarsi alla società e al potere (come le spie nascoste nei non-luoghi). Non per ritrovare se stesso ma per liberarsi dell’io, per sublimarlo in una verticalità che aderisce alla terra e ai sensi, come la poesia di Tasso o le molte nature morte che dipinge. Il suo modo di tenere in scacco la morte è di seguire, anche un po’ sparendo dietro le quinte, la classe che lavora sul suo bozzetto. Nell’ultima pagina i ragazzini si apprestano festosamente all’opera, dopo che ciascuno ha scelto la propria parte: comincia la grande recita della vita, dove è bello anche un po’ dimenticarsi.