Recensioni / Imre Toth, ebreo comunista, racconta, la sua odissea fra Romania e Ungheria

«Il lungo cammino da me a me», dialoghi con Péter Várdy, da Quodlibet

Di Imre Toth, scomparso nel 2010, autore di lavori sulla geometria non euclidea, che gli hanno dato fama internazionale, le riflessioni meno note sono quelle sulla storia novecentesca: nel 2002 era uscito da Cadmo Essere ebreo dopo l’Olocausto, mentre ora Quodlibet pubblica una affascinante autobiografia per interposta persona: Il lungo cammino da me a me (traduzione di Francesca Ervas da una versione francese del testo, apparso nel 2004 presso la casa editrice Pont a Budapest, pp. 282, € 19,00). Basato su una serie di dialoghi con Péter Várdy, realizzati dal 1987 al 1999 in diverse città europee, rientra in un progetto finalizzato alla raccolta di dichiarazioni rese da testimoni dell’Olocausto.
A venire privilegiato è non soltanto il racconto della condizione ebraica, ma quello di un personalissimo romanzo di formazione intellettuale, in quel tumultuoso, ricchissimo, complicato territorio tra Romania e Ungheria in cui Toth era cresciuto. Il filosofo era nato a Szatmárnémeti, che oggi si chiama Satu Mare e ha anche un nome tedesco, Sathmar, una onomastica eloquente dell’incrocio complesso e non privo di asperità di popoli e culture.
A venire inquadrata è una persona che ha deciso, poco più che adolescente, di prendere posizione in politica, entrando a far parte del partito comunista e venendo messo in prigione per le sue scelte. Tra i racconti, è interessante specialmente quello relativo alle varie società di lettura, in cui i ragazzi si incontravano per commentare gli autori del momento, soprattutto Thomas Mann, che portava echi della cultura di Weimar fino a quell’angolo di Europa. Di quei gruppi, in cui erano presenti anche molti ebrei cui era impedito di frequentare l’università, faceva parte, tra gli altri, il giovane György Ligeti.
Nella continua altalena tra ungherese e rumeno, il grande apprendistato culturale del protagonista si svolge tra Budapest e Bucarest, percepita come una città più all’avanguardia, malgrado la minacciosa falange della Guardia di Ferro, per via del legame fortissimo con il mondo surrealista, in cui operavano Samy Rosenstock, più noto come Tristan Tzara e Victor Brauner, artefice di immagini inquietanti alla corte di Peggy Guggenheim.
Imprigionato in carceri e campi di lavoro tra il 1940 e il 1945, Toth si rifiuta a qualsiavoglia retorica, anche per prendere le distanze dal mondo comunista rumeno in cui aveva sperato e che invece lo emarginò non appena cominciò a prendere le distanze dagli abusi del partito. Negli anni seguenti fu oggetto di vessazioni di ogni tipo, finché nel 1970, un anno dopo essere riuscito a lasciare il paese, ottenne per segnalazione di Karl Popper, la cattedra di filosofia della matematica a Regensburg. Tra le pagine di questa autobiografia per interposta persona è tutto il Novecento a venire passato al vaglio di un irriducibile nemico delle dittature, che nel dialogo, al di là degli stereotipi, ha sempre individuato l’attività principale dell’essere umano.