Recensioni / Vasta, equilibrio nel vuoto tra ghost town e deserto

Lo scrittore palermitano oggi al Caffè Letterario

Gli sconfinati spazi dei deserti americani come luogo materiale e mentale, dentro al quale affacciarsi sul vuoto e sulla propria esistenza. Si muove tra il reportage di viaggio e il romanzo di formazione Absolutely Nothing. Storie e sparizioni nei deserti americani (Quodlibet, 2016) dello scrittore palermitano Giorgio Vasta, autore del premiatissimo «Il tempo materiale» e collaboratore di La Repubblica, Il Sole 24Ore e Il Manifesto. Un libro sull’America più profonda, ma soprattutto il tentativo di racconto dello scorrere del tempo, e delle vicende personali che lo circondano e lo popolano di voci.

A parlarne è stato l’autore stesso, ieri sera alle 18 al Caffè Letterario Primo Piano, ospitato dal gruppo di lettura Flatlandia di Radio Onda d’Urto. «Absolutely Nothing è un testo di finzione che finge di descrivere uno spazio, ma racconta un’esperienza nel tempo» spiega Vasta. «Raccontare le due settimane negli Usa è l’occasione per provare a parlare del tempo che scorre, che circonda come un alone quei giorni». Il viaggio, affrontato a fianco del fotografo Ramak Fazel e di Silva, diventa un inquieto peregrinare fra ghost town, casinò abbandonati, ippodromi-astronave, musei di scarti, laghi fossili e cimiteri di aeroplani, in una mappatura geografica che si fa incerta, vacua, rarefatta. «Un cartello stradale recava la scritta Absolutely nothing - Next 22 miles. In quelle 22 miglia lo spazio continua a esserci ma il linguaggio, che serve a nominare la materia, sembra venire meno. Nel deserto sembra non ci sia nulla da dire. Il libro è diventato così il tentativo di mettere parole laddove ci sarebbe quell’absolutely nothing». Nella narrazione di Vasta, corale ritratto in cocci e frammenti, viaggio e esperienza personale diventano così inestricabili, legati sotto il segno di ciò che manca, di ciò che non c’è. «Nelle mie pagine cerco di descrivere una particolare percezione del vuoto: quella della mancanza. Possiamo vedere l’impronta di un corpo su un letto: quando quel corpo corrisponde a qualcuno per noi importante, non stiamo notando un’assenza, stiamo sentendo una mancanza». Una mancanza che pervade tutto il libro, diventando uno sguardo che scruta dentro, che pone interrogativi.

«Credo che il libro sia il tentativo di racconto di un’esperienza concreta, la mia, dell’età adulta. Lo immaginavo come un tempo robusto, di consolidamento. Mentre scrivevo il libro invece accadevano fatti e vicende che avevano a che fare con la rarefazione e lo sradicamento. È come se avessi messo il piede in fallo, un passo nel nulla. Il libro racconta il tentativo di non perdere l’equilibrio quando ti affacci sul vuoto» conclude Vasta, ricordando come dentro ogni vuoto sia necessaria una personale cartografia, reale o immaginaria, per trovare lo spiraglio di luce. Persino quel la di un deserto.

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