Recensioni / Divertenti «Incontri coi selvaggi» di Talon. Carminati scrive su Quarenghi, dopo le Mura Venete

[…] Un misto di invenzione e di fondo storico, quanto meno memorialistico, etnografico, antropologico, c’è anche negli Incontri coi selvaggi di Jean Talon, presentati ieri pomeriggio alla Domus, dall’autore in dialogo con Nunzia Palmieri dell’Università di Bergamo. Parola, «selvaggi», che ha ovviamente accezioni e bagagli semantico immaginifici i più diversi, dal buon selvaggio rousseauviano allo «stupido ottentotto» del Berchet, dall’orrido cannibale che è, per il gesuita Pedro de Ribadeneyra, l’amerindo pagano, all’ideale personificazione di uno stato di natura che, per l’uomo, nessuno sa bene quale sia.
Talon cava le sue storie «in gran parte dalla letteratura etnografica»: la prima dalle memorie di Alvar Nunez Cabeza de Vaca, partito nel 1527 «alla conquista della Florida»; l’ultima ispirata ai Cannibal Tours proposti «alle soglie della cosiddetta globalizzazione» da agenzie turistiche specializzate in «ecoturismo». In questa campata cronologica plurisecolare, la materia è sempre lo stupore, lo stress il processo di adattamento/trasformazione di viaggiatori «spesso un po’ scalcagnati», nell’incontro con una «cultura altra». Diawné Diamanka, «cantastorie fulbe, etnia dell’Africa subsahariana», nel 1988 viene invitato a passare un periodo di tempo a Bologna da alcuni antropologi europei. Osserva, fra l’altro, che «si vedono ogni tanto uomini o donne che vanno in giro legati a un cane»: per lui, «una novità assoluta».