Recensioni / Le idee vivono se soffrono d’amnesia

I testi del napoletano Luigi Trucillo solo apparentemente si limitano a parlare d’amore. In realtà rivelano come l’eros vada oltre la sua fenomenologia e come sia al tempo stesso strumento e luogo di conoscenza

Che cosa c`è di più difficile in poesia che scrivere una lirica d`amore? Umberto Saba, in alcuni versi memorabili, considerava addirittura la rima fiore-amore come «la più antica difficile del mondo». Assieme alla rima si trattava, ovviamente, anche di altro: della presenza e del peso della tradizione, del rischio di parole e di un immaginario ingrigiti dall’uso, e allora soprattutto del rapporto tra l’eccezionalità di una passione che ogni volta si pretende unica ed esclusiva, con la ripetizione di un’esperienza e di vicende che sono invece di tutti. Tra unicità e luogo comune, tra individuo e specie, tra una volta soltanto e sempre così: si può dire che la poesia d`amore si muova comunque dentro a quest’antitesi fondamentale.
Fermo restando che ogni poesia, come qualcuno potrebbe non senza ragioni obiettare, è in qualche modo una poesia d’amore, nel caso di Luigi Trucillo la qualifica di poeta d`amore a tutto tondo risulta senz’altro pertinente. Nato a Napoli nel 1955, ha cominciato a pubblicare le sue raccolte a partire dagli anni Novanta. Qualche anno fa è anche uscito un suo apprezzato libro di versi dedicato a Darwin, e nel 2013 un romanzo, Quello che ti dice il fuoco (Mondadori). Tuttavia la sua vena poetica più feconda possiede un esplicito, diciamo così, movente passionale. Ed è appunto a questo che Trucillo è dovuto per forza ritornare con il suo ultimo libro di poesie, Altre amorose, che riprende il filo del precedente Le amorose del 2004 (entrambe le raccolte, come anche Darwin, sono edite da Quodlibet). Coraggio o incoscienza? Se il coraggio nasce dalla consapevolezza, è senz’altro di questo che nel suo caso si tratta. È significativo che il poeta senta fin da subito la necessità di spiegare e in qualche modo di giustificare, così s’intitola la poesia d’apertura, Perché scrivere poesie d’amore. Si può dire che il libro si muova per intero tra gli estremi definiti in questo piccolo manifesto d’apertura: unicità e «tradizione», «difficile e semplice», «controllo» e «immaginazione», costrizione e libertà, solitudine e condivisione. «Forse tutto è già stato detto», scrive, eppure proprio la ricerca – perché è di questo che si tratta – del volto, dei tratti, del nome, della verità della persona amata, diventa una strada, come una specie di grimaldello, per rompere le maglie di un universo altrimenti meccanicistico, insignificante, assurdo. «Perché ogni poesia d’amore / di sé parla pochissimo e troppo, / e cerca solo un ascolto del tempo/ più profondo/ che tra le nostre mani/ frulla come il saltello di un passero», così conclude.
Forse già da questi pochi versi lo si capisce: nella poesia di Trucillo il movente passionale di cui si è detto fa tutt’uno con la necessità conoscitiva, con un desiderio di comprensione. L’amore, che pure viene avvertito nella sua estrema determinazione corporea e sensibile, è anche passione di conoscenza. Sono pochi i momenti in cui l’autore lascia che a parlare siano le cose, le figure, le situazioni, per intrinseca forza evocativa. Attraverso svolgimenti e salti del pensiero bruschi e imprevedibili (si concede pochissimo, qui, all`onda lunga dell’elegia, come pure, d’altro canto, alla più consueta grammatica sentimentale della nostra poesia), alla scena particolare ripresa dalla memoria segue o si alterna quasi sempre la riflessione, e così le domande, i dubbi, le asserzioni, le approssimazioni, i giudizi. «Vorrei capire», si dice in un’occasione. E questo vale pressoché sempre, tanto più che questa ricerca del senso del senso dell’amore e dunque di tutto viene pienamente condivisa dal «tu» femminile a cui sono rivolte e da cui insieme scaturiscono quasi tutte queste poesie.
Non si deve allora pensare che la ricca fenomenologia dell’amore che s’incontra in questi versi sia fine a se stessa. Primi incontri, sguardi, silenzi, parole, pensieri, estasi, lontananza, perdita, ricordi comuni, abitazioni, fotografie, oggetti-amuleto, tempo, invecchiamento: ogni cosa e ogni evento quanto più dovrebbero vivere di luce propria tanto più sembrano richiedere una lettura, un’interpretazione che li porti al di là di se stessi, come a tracciare l’intero «disegno della vita». È dunque un ben strano poeta d’amore, Trucillo. Un poeta d’ispirazione più lucreziana che catulliana. Tra materia e pensiero, tra fisica e filosofia, la percezione del corpo diventa discorso su atomi, particelle, semi, granelli, cellule, gocce, polvere, mappe, destino. A volte questo procedimento, che del resto è quello attraverso cui questo scrittore percepisce e rappresenta la realtà, sembrerebbe non solo una prerogativa d’identità ma una condanna: «Perché le idee / devono saper soffrire d’amnesia / per diventare cose / e sopravvivere». Tuttavia, è proprio sul filo di questa tensione, con la contraddizione che comporta, che nascono i suoi versi.