Recensioni / Absolutely Nothing

1 ottobre 2013. Lo scrittore Giorgio Vasta e Giovanna Silva (alla quale nel testo si fa riferimento semplicemente come Silva), fondatrice e direttrice della casa editrice Humboldt nonché organizzatrice del viaggio, partono per Los Angeles, con scalo a Newark. Inizialmente del gruppo avrebbe dovuto far parte il fotografo Francesco Jodice, che però ha dato forfait per motivi di salute. Una volta negli Usa al duo si unirà quindi il fotografo di origini iraniane Ramak Fazel, che vive a Claremont e insegna a San Francisco. I tre prevedono di attraversare il nordamerica a bordo di una Jeep rossa, tagliarlo fino al Golfo del Messico, attraverso California, Arizona, Nevada, New Mexico, Texas e Louisiana, raccontando e fotografando quanto incontreranno sul loro percorso, con particolare attenzione ai non luoghi, alle ghost town, all’archeologia industriale, ai deserti. Sull’aereo Giorgio guarda prima Il Dottor Stranamore e poi Mars Attacks!, legge la Guida del cercatore d’oro della California, rimugina sulla famiglia antropofaga del film anni ’70 Le colline hanno gli occhi, che cattura le sue vittime proprio in un deserto americano, ascolta L.A. Woman dei Doors. Atterrano che è tardo pomeriggio, c’è ancora un po’ di luce. La Jeep li aspetta in un parcheggio, salgono e partono: guida Silva, Giorgio non ha la patente. Ai lati della carreggiata le palme sono sottili e altissime. Arrivano al Beverly Laurel Hotel, cenano al diner dell’albergo, si danno appuntamento la mattina successiva alle 8 per incontrare Ramak e vanno a dormire. Giorgio si sveglia prestissimo per colpa del jet lag, poco dopo le 6 esce per fare una passeggiata: incrocia qualche persona, osserva i palazzi, “tutto è nuovo, sereno e orizzontale”. Preleva dei dollari a un bancomat, li gira e li rigira tra le mani, pensa alla “quantità di racconto e di immaginazione intessuto in quelle banconote”, da Zio Paperone a Carver, da American Psycho a Caldwell, da Steinbeck a Dean Martin con il costume da vicesceriffo. Rientra in albergo, chiude i bagagli, scende e trova Silva già con Ramak Fazel. Presentazioni, strette di mano, sorrisi: si carica la Jeep di bagagli, Fazel ha portato con sé anche pentole, padelline, tazze di plastica, altri utensili da campeggio. Il viaggio sta per cominciare davvero…

Questo volume di formato medio-grande e dalla grafica elegante realizzato in partnership da Quodlibet e Humboldt a prima vista ha tutte le caratteristiche del diario di viaggio classico: ci sono un itinerario, mappe, viveri, incontri, paesaggi, rapporti articolati tra compagni di viaggio, imprevisti, stanchezze, incanto. Uno scrittore raffinato che racconta il viaggio con le parole, un fotografo prestigioso che lo racconta con le immagini (in appendice il suo acido reportage a colori su carta patinata dal titolo Corneal abrasion), una terza figura a metà tra fotografa e letterata che fa da collante, da coscienza critica – pur rimanendo troppo sullo sfondo, forse (sue le foto in bianco e nero sparse nel testo). Eppure Absolutely nothing – Storie e sparizioni nei deserti americani è tutt’altro che un diario di viaggio classico, a partire dal titolo a ben vedere paradigmatico. Che sia sulle sponde di un enorme lago salato in putrefazione o sulla spiaggia dove Ray Manzarek propose a Jim Morrison di formare una band, tra le rovine di una colonia socialista andata in malora o nello spiazzo davanti a un’installazione che riproduce in un luogo dimenticato da Dio la vetrina di una boutique Prada, Giorgio Vasta sente questo presunto diario di viaggio sfuggirgli di mano, diventare da subito qualcos’altro. Perché la cronaca di questa traiettoria geografica americana si fonde con l’immaginario che la riguarda, il portato culturale di una vita di libri e film (la bibliofilmografia di riferimento è certosinamente riportata sul sito di Humboldt Books), musica e fumetti (nel volume sono riprodotte diverse strisce dei Peanuts). E il combinato disposto di luoghi suggestivi e archetipi della cultura pop apre per giunta la porta all’inconscio, alla memoria, persino ai fantasmi del viaggiatore. Questo processo di contaminazione è stato certamente facilitato dalla storia editoriale del libro, la cui scrittura Vasta ha procrastinato per molti mesi dopo il ritorno in Italia: e però “inseguire un viaggio dopo che è avvenuto significa rendersi conto di tutti i luoghi in cui non si è stati, dialogare con i vuoti, coltivare frustrazione”, ed ecco quindi che gli appunti di viaggio diventano “una scrittura che soprattutto suppone, finge, si arrangia, mente”. E che a sua volta fa scaturire un processo mentale del tutto simile nel lettore, che ha un suo “immaginario americano” oltre che una sua fantasia e una sua interiorità che mediano la percezione della scrittura trasfigurandola ulteriormente, in un gioco infinito di specchi e filtri. Storie e sparizioni, sparizioni e storie, cronache del nulla, dell’assolutamente nulla del titolo, ispirato a un cartello stradale di Barstow, in California, dove ai bordi di una strada diretta a Las Vegas che si inoltra nel deserto, c’è scritto “Absolutely nothing – Next 22 miles”. Un nulla che è anche la cultura del “tuttopieno” tipicamente americana, l’horror vacui che porta l’americano medio ad accumulare oggetti intorno a sé e cibo dentro di sé. Un nulla che Vasta, Fazel e Silva ci raccontano descrivendo senza accorgersene – o forse sì – il backstage di una mitologia.

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