Recensioni / Etica dell'estetica

Ha scritto Alfonso Berardinelli che forse molti di noi non se ne sono accorti, ma la nostra vita si è svolta finora all’interno di un’epoca chiamata postmoderna. Il termine circola da parecchi anni, almeno da quando nel 1979 François Lyotard, nel suo celebre pamphlet La condition postmoderne, dichiarò che l’età più che millenaria delle “grandi narrazioni” si era chiusa per sempre. Una fine decretata dal tramonto definitivo delle ideologie, in particolare del materialismo storico, e dei sistemi filosofici del passato. Seguirono decenni di “distruzioni” della modernità, dei suoi idoli, delle sue certezze, dei suoi ideali. Dalla filosofia ermeneutica di Hans-Georg Gadamer alle “genealogie” di Michel Foucault, dal “decostruzionismo” di Jacques Derrida alla “svolta linguistica” della filosofia analitica anglosassone fino al “pragmatismo edificante” di Richard Rorty, si affermarono i banditori di un nuovo verbo: la verità, la ragione, il progresso, sono solo fantasmi della vecchia metafisica, idoli posticci di cui si serve il potere per produrre subordinazione e dominio. A quel punto, la parte del mattatore la fece il “pensiero debole” con la sua tesi capitale secondo cui la “metafisica è violenza”, cosicché occorreva “ammorbidire” i fatti, mettere le parole prima delle cose per creare un mondo in cui l’imprecisione è valore, l’indeterminazione realtà, e via discorrendo. In fondo, il “debolismo” è la filosofia dell’esteta colto, raffinato e disincantato, che sul terreno etico si compiace tutt’al più di esortare alla cura dei valori della tolleranza e della solidarietà. Dopo un periodo in cui i “flebili” sembravano passati di moda, ci ha pensato Maurizio Ferraris con il suo Manifesto del nuovo realismo (2012) a gettare un sasso nello stagno. Il dibattito si è rianimato, e le polemiche tra debolisti e realisti si sono spartite la ribalta della cultura e hanno invaso la scena editoriale, fino ai giorni nostri.
Tutto questo e molto di più si trova nel libro di Luca Serafini, un giovane e ferratissimo filosofo che conosce la letteratura sul postmodernismo come le sue tasche. Molte le pagine che risultano convincenti, soprattutto laddove invita a non confondere il desiderio, sempre connesso alla legge e ai limiti che essa impone, con il godimento, con l’esplosione narcisistica dell’Io. Non a caso le nostre società soffrono di una mancanza crescente di desiderio, quanto più sono sottoposte all’imperativo di godere senza freni. Non esiste – sostiene l’autore – solo il Don Giovanni descritto da Søren Kierkegaard, ma anche quello descritto da Albert Camus. È un figura, quella ritratta nel Mito di Sisifo, che allude alla possibilità di una morale cosmopolita nell’èra della globalizzazione, fondata sull’etica dell’ospitalità, sull’apertura agli altri, sul riconoscimento delle differenze. In tempi in cui squillano le trombe di un populismo sovranista e identitario, è un invito a non disperare per nulla disprezzabile.