Recensioni / Almanacco 2017. Mappe del tempo. Memoria, archivi e futuro

Ora va parecchio la fisica dei fisici che dicono che il tempo non esiste. Sarà. Intanto, le persone continuano a invecchiare come sempre e, per attutire i colpi, ad andare dal chirurgo e/o in libreria. Gli scrittori italiani à la page ragionano poco sul tempo e ancor meno su cosa consegnare alla posterità (e come farlo): invece, quelli non à la page lo fanno, grazie al cielo, tantissimo, prova ne è L’Almanacco 2017 - Mappe del tempo. Memoria, archivi e futuro, regia (cura) di Ermanno Cavazzoni con, nel cast, Gianni Celati, Ugo Cornia, Paolo Albani, Daniela Mazzoli e altri ventidue, tutti bravissimi almeno quanto belle sono le loro biografie. Marino Santinelli, che nella vita ha fatto lo spazzino, il manager, il bibliotecario ed è marito di Maddalena “la parte migliore di me” e padre di Marco “che ogni volta che mi sorride il mondo diventa un oceano di beatitudine”, ha raccontato le storie che arrivano all’Ufficio preoccupazioni inutili (la lavatrice non fa più rumore, ho le tette mosce, la tovaglia non è in linea con il tavolo e allora ho preso il teodolite e chiamato il piastrellista). Paolo Albani ha scritto una mail a uno sconosciuto: lei è un mio postero, vorrei conoscerla. Il postero ha accettato l’invito, tuttavia non aveva mai letto un libro di Paolo Albani e quindi è finita con grande imbarazzo di entrambi. Ugo Cornia, una vita agevolata dall’essere nato nel ’65 e dal potere, per questo, calcolare il tempo della sua vita in decine e cinquine ricavandone sempre la sensazione che tutto fosse piuttosto lineare e ciclico e ordinato, incredibilmente conclude che “in una vita, il tempo non sta insieme con sé stesso”. Quello che il tempo ha fatto nelle vite di questi ventitré scrittori è, naturalmente, parecchio vario e non ha lasciato indicazioni, ma ispirazioni sì. Le più limpide e belle sono che si vive quando non ce ne accorgiamo, si sceglie quando smettiamo di pensare, si ricorda quando non si commemora, la verità non è un incontro di storia e testimonianza, il futuro se ne frega di noi ed è per questo che gli andiamo appresso, perpetui innamorati scacciati. Se arriverà, al futuro, l’eco di tutto questo pensare, così come a noi è arrivato l’eco dei romantici, dei greci, dei mongoli di Gengis Khan, questo libro non lo sa, ma prova a consegnarsi a popoli che ancora devono venire in un modo più semplice dei romanzi della Future Library che potranno essere letti solo dal 2114 (Katie Paterson, artista scozzese, ha chiesto a cento grandi scrittori di realizzarli: finora hanno consegnato Margaret Atwood e David Mitchell). E cioè liberando il presente dal futuro: non ha a che fare con il carpe diem, bensì con l’idea che dobbiamo, possiamo provare a pensarci limitati per fare cose illimitate, mortali per fare cose immortali e ingenui per farla semplice. “Allora non capisci un cazzo, Napoleone, allora la storia non insegna niente”, scrive Alessandro Della Santunione, osservando che, diamine, tutte e tre le volte che ha studiato Napoleone a scuola, lui ha commesso sempre gli stessi errori. I guai si ripetono se facciamo combaciare il tempo con la storia.