Recensioni / Nel Valore di Kagel

La musica d'oggi versa, nel nostro Paese, in stato comatoso; i teatri della Penisola, fatta salva qualche eccezione, ricusano completamente la produzione contemporanea, confinandola nelle zone morte della stagione. Compositori d'altissimo rango vengono costretti al silenzio, poiché non trovano commissioni che permettano loro di comporre. Per fortuna il Teatro alla Fenice di Venezia, con lodevole puntualità, agisce per la diffusione della musica contemporanea, inserendola nel corpo vivo del sue cartellone. Così, a Venezia si è ascoltata l’opera di Mauricio Kagel (di nascita argentino, di cultura tedesco), intitolata Aus Deutschland (Dalla Germania). Va aggiunto che, alla rappresentazione di sabato 27 febbraio, il PalaFenice era esaurito, frequentato da un pubblico curioso, rimasto educatamente al proprio posto sino alla fine.
Aus Deutschland, composta nel 1981, non solo è capolavoro assoluto per l'intrinseca qualità musicale, ma rappresenta una poderosa meditazione, storica e sociologica, sulle origini della cultura romantica tedesca, che ha avuto ruolo imprescindibile nella storia delle idee del nostro secolo. Kagel mette insieme il libretto collezionando frasi, frammenti, lacerti da testi di Heine, Goethe, Holderlin, Schiller, Claudius e molti altri, in modo da sviscerare temi che sono stati alla base della meditazione romantica: la Morte, l'Amore, la Natura. Kagel, perciò, rinuncia a imbastire un'azione lineare, preferendo piuttosto dividere l’opera in ventisette scene, apparente continuità.
L'orchestrazione è anch'essa particolare: poiché si tratta di una Lied-oper, è il pianoforte ad accompagnare i cantanti, a tratti doppiato da una pianola scordata, da una tastiera elettronica, raramente sostituito da un'orchestrina composta da archi e un gruppo di fiati. I personaggi sono l'esplicitazione vivente di alcune figure classiche delle poesie romantiche: 1'Acchiapparatti (da Ghoethe), l'Uomo con l’organetto (da Wilhelm Muller), la Poetessa (da Heine), la Notte (da von Collin), persino Schubert e Goethe. Ne viene fuori un'analisi incredibilmente profonda di quella commistione tra cultura alta e bassa, tra sublime e kitsch tipica del mondo tedesco. Per esempio, Goethe possiede carnalmente la Poetessa in modo quasi brutale, prendendo alla lettera i versi ch'ella declama: «Vieni! Colmami di felicità!» (sono dello stesso Goethe). Il collage di Kagel non indulge a tentazioni retrospettive: la sua musica non cita mai letteralmente i grandi testi romantici (da Winterreise di Schubert a Dichterliebe di Sehumann, tanto per fare due esempi), ma li evoca. La scrittura musicale trasfigura il materiale con tecniche stranianti, con impasti timbrici a volte persino urticanti, sempre - ed è questo il segno distintivo del gran teatro - in accordo drammaturgico col libretto. La messa in scena di Herbert Wernicke, poi, è di quelle che non si dimenticano; 1'immagine che appare agli occhi degli spettatori è una citazione dal celebre dipinto di Caspar David Friedrich Mare di Ghiaccio, solo che al ghiaccio Wernicke sostituisce i pianoforti, affastellati, demistificati, accatastati come un qualsiasi oggetto d'uso. In mezzo a questa inquietante struttura si scorgono piccoli oggetti di bronzo, calchi in marmo di monumenti celebri, teste di illustri personaggi, insomma tutto il repertorio d'oggettistica appartenente all’arredamento delle famiglie piccolo borghesi. Dal mare di pianoforti emergono, a sorpresa, i personaggi di questo mondo fantastico, che - per due ore - non smette d'affascinare e incuriosire. Straordinaria la prestazione dei complessi (cantanti e coro) del Teatro di Basilea e del Teatro la Fenice, ottimamente diretti da Jurg Henneberger.