Recensioni / Kandinsky, immagini che vanno all'assoluto

Il saggio di Kojève tradotto da Gnoli e Filoni
INCONTRI. Domani al Guggenheim di Venezia una tavola rotonda di filosofi.

“Filosofo della domenica”, come amava definirsi, o “illustre sconosciuto”, secondo l'arguta espressione della sua biografa Dominique Auffret, Alexandre Kojève - di origini russe, ma naturalizzato francese - è un po' il simbolo dell'intellettuale engagé del XX secolo, che cerca nella politica la ragione della propria esistenza, partecipando a guerre e rivoluzioni per svolgere un ruolo attivo nella storia. Un pensatore come tanti? Non proprio. L'eclettico philosophe è considerato il più geniale interprete di Hegel, grazie all'evento che più di ogni altro gli ha conferito prestigio e popolarità: le leggendarie lezioni sulla Fenomenologia dello spirito che tenne all'École Pratique des Hautes Études tra il 1933 e il 1939, attirando un uditorio francese di grande spessore che includeva, tra gli altri, Jacques Lacan, Georges Bataille, Maurice Merleau-Ponty, Eric Weil e Raymond Aron.
In quegli anni di intenso lavoro intellettuale inizia a delinearsi l'interesse di Kojève per l'arte, in particolare per la pittura dello zio Vassily Kandinsky, il quale chiese al nipote di redigere un saggio sui contenuti della sua innovativa esperienza artistica. Dalle discussioni tra i due, padre dell'astrattismo l'uno, filosofo originale l'altro, nacque nel 1936 I dipinti concreti di Kandinsky, pubblicato ora da Quodlibet con il titolo Kandinsky (Macerata 2005, 82 pagine, 10 euro). Il testo, tradotto da Antonio Gnoli e Marco Filoni, e curato da quest'ultimo, oltre a comprendere il manoscritto del 1936 - corredato dalle annotazioni di Kandinsky - include anche un inedito di eccezionale interesse datato 21 luglio 1946, La personalità di Kandinsky, da cui emerge la straordinaria armonia tra la vita e le opere dell'artista russo.
«Non c'è dubbio alcuno che ci sia una parentela tra arte e bellezza. Eppure visibilmente non si tratta della stessa cosa. Anche mettendo da parte il "piacevole" (ovunque, e nell'arte, il "brutto" e il "piacevole" possono essere belli e non-belli) esiste il Bello nell'Arte: pezzo musicale, quadro, edificio, poesia… e il Bello in quello che non è Arte: una pianta, un corpo umano, il canto di un uccello, una macchina, ecc…». L'incipit de I dipinti concreti di Kandinsky rimanda al concetto di bello inteso come essenza estetica che la realtà stessa contiene e che l'arte di Kandinsky descrive oggettivamente, perché è in grado di coglierla.
Kojève traccia uno schema dell'arte nelle sue varie specie, collocando i dipinti non rappresentativi di Kandinsky come secondo genere della pittura. Alla ricerca degli aspetti che rivelano la singolarità dell'autore dei Tre elementi, Kojève è fra i pochi ad avere compreso che, diversamente dalla pittura rappresentativa caratterizzata da astrattezza e soggettività, le immagini "totali e assolute" di Kandinsky sono sia oggettive, perché non implicano un intervento né dell'artista né dell'osservatore, sia concrete, in quanto universi completi e reali esistenti di per sé.
Marco Filoni sottolinea l'opportunità di far conoscere uno scritto ancora ignoto a molti storici dell'arte, che lo stesso Kandinsky definì il saggio "più intelligente e acuto" sulla sua esperienza pittorica. Con grande chiarezza emerge in queste pagine la vera natura del lavoro pittorico del geniale astrattista fondatore del Blaue Reiter, che si oppose alle correnti "simboliste", "realiste", "impressioniste" ed "espressioniste". Le parole «mi sembrava che l'anima viva dei colori emettesse un richiamo musicale, quando l'inflessibile volontà del pennello strappava loro una parte di vita» sprigionano tutto l'impegno con cui l'artista cercava di tradurre nei suoi quadri l'elemento vitale, condizione essenziale per una pittura davvero assoluta.
Della lettura di Kandinsky da parte di Kojève si discuterà a Venezia, domani alle 18.30, nella prestigiosa sede del Museo Guggenheim. Alla tavola rotonda interverranno Massimo Donà, Marco Filoni, Franco Volpi e Antonio Gnoli. Un momento in cui la filosofia diventa chiave interpretativa dell'arte, per coglierne la dimensione metafisica, cioè - per usare le parole di Kojève - «per intuire l'in-esistente che esprime l'idea pura della realtà».