Recensioni / Il bambino di Cechov, viaggio di formazione nella steppa ucraina

Un bambino di nove anni è il protagonista del racconto lungo, La steppa, che Anton Cechov scrisse nel 1888, a ventotto anni, e che ora Quodlibet ripropone nella nuova traduzione di Paolo Nori con una nota di Fausto Malcovati. Proprio dalla nota finale si viene a sapere che ai critici di allora La steppa non era piaciuto: molto meglio i racconti brevi o addirittura brevissimi a cui l’autore li aveva abituati. Neanche a dirlo La steppa è un capolavoro e fa rivivere l’esperienza di un viaggio in compagnia di mercanti e carrettieri, a stretto contatto con la natura.
Il bambino, che si chiama Egóruška, è figlio di madre vedova e viene affidato ad uno zio perché lo porti in una città, presso un’amica della madre, dove possa essere iscritto al ginnasio.
II lettore si ritrova così pubblicò in mezzo alla sconfinata steppa ucraina, negli accampamenti improvvisati per la notte o sotto una pioggia torrenziale che non concede scampo, mentre si intrecciano le conversazioni e appaiono e scompaiono curiosi personaggi. Una tranche-de-vie che vale, per il bambino, una presa di contatto con il mondo, lontano da casa e dalle presenze rassicuranti che fin lì lo hanno accompagnato. Ora avverte il peso della solitudine. E dopo, come sarà la vita? Che futuro avrà? Con questa nota sospesa l’autore conclude il racconto e si capisce che ha a cuore il destino del piccolo protagonista, ancora lontano dall’età dei progetti e dei sogni.