Recensioni / L’arte è business. Per riscattarla torniamo a Picasso

«Il pioniere della sregolatezza posseduto da un demone bifronte»

L’articolo di questa pagina – uno stralcio del saggio “Il demone di Picasso” di Gabriele Guercio – è pubblicato per gentile concessione dell’editore Quodlibet. Il saggio (244 pagine,18 euro), parte dall’abbandono, intrapreso agli inizi del Novecento, di un’idea di creatività rarefatta e aristocratica. Abbandono «che trova negli ultimi decenni un inquietante parallelo nell’organizzazione del lavoro: proprio come il lavoro esonda nel non lavoro, così l’arte sconfina nella non-arte ed entrambi sfociano in una piatta e deresponsabilizzata dimensione di creatività generica». In questo contesto, Guercio propone uno studio di Picasso, «pioniere della sregolata disseminazione del fare creativo», ma posseduto da un «demone bifronte» capace di riscattare lavoro e arte.

Lo storico e critico d’arte Gabriele Guercio denuncia l’omologazione della “Creatività Generica”. E propone il ritorno alla passione vorace di un maestro

Sia Picasso che Duchamp percepiscono la creatività come una facoltà genericamente umana. Quali sono stati gli esiti di questo spostamento di paradigma nell’arte del Novecento e in quella degli ultimi decenni? I readymade duchampiani, in particolare in Nord America, aprono la strada a una varietà di artisti, da John Cage e Jasper Johns a Andy Warhol e numerosi altri più giovani, impegnati in una pratica dove indistinzione, serialità e ripetizione acquistano un valore positivo e corroborano la nuova verità che non sia più necessario separare le opere d’arte dai banali oggetti di consumo. Intuita cos’è l’ineffabilità dell’essenza dell’arte, se non la funzione di mera convenzione sociale da essa svolta, la sua definizione diviene oggetto di incessante ricostruzione e decostruzione, mentre le opere stesse sono suscettibili di assumere sembianze illimitate. Per gli artisti progressisti della seconda metà del secolo scorso, l’eredità delle avanguardie artistiche primonovecentesche si identifica con la critica e l’emancipazione dai limiti delle arti tradizionali. Duchamp appare loro come lo scopritore di nuove strade, mentre Picasso diviene pressoché inutilizzabile. Se lo si emula, si rischia di autodeclassarsi al rango di tardivi artisti figurativi, “conservatori” o ignari delle nuove chances creative.
La situazione muta
La situazione muta, tuttavia, agli inizi degli anni Ottanta, quando si assiste a una ripresa di interesse per Picasso da parte di critici, teorici e artisti delle nuove generazioni. (...) Da Picasso è possibile raccogliere un insieme di desiderata e questioni irrisolte: un’eredità scomoda dove i pericoli e le negatività convivono con gli impulsi positivi. Nel discutere alcuni aspetti della sua oeuvre, ci si è resi conto delle lacerazioni che accompagnano la scelta di apparente affrancamento perseguita dall’arte che vira verso il paradigma della Creatività Generica. Ciò detto, tuttavia, ci si chiede quale insegnamento ci sia da trarre dal genio generico di Picasso.
Nobile selvaggio
Dopo avere sostenuto che Picasso si è ribellato al mondo mantenendo la propria integrità di nobile selvaggio e che, in questo modo, si è tuttavia privato della possibilità di sviluppo e contatto con la realtà, John Berger conclude che l’esperienza dell’artista dimostra come il successo e gli onori conferiti dalla società borghese non dovrebbero allettare più nessuno. Non si tratterebbe più di rifiutare in principio, ma di farlo a fini dell’autopreservazione. Da quanto osservato in queste pagine, si è però invogliati a tirare una conclusione diversa. Con Picasso, la questione non è tanto se rifiutare o meno magari scegliendo di operare sotterraneamente, lontani dalle luci del sensazionalismo e dai processi di spettacolarizzazione, quanto piuttosto se credere nell’assoluto della creazione e nella realtà psichica di un’opera – nel suo esserci indipendente e assolutamente non generico – oppure accettare la tesi relativistica che i valori, artistici e non, sarebbero solo una profittatile convenzione sociale. Nell’oeuvre picassiana, il primato della creazione comporta l’aspirazione a cogliere con ogni nuova opera dei modi nuovi e sorprendenti di concepire i corpi e l’umanità stessa.
Sviamenti e peregrinazioni
Inoltre, i commentatori si sono spesso stupiti di come, se studiata nel suo corso cronologico, la pratica di Picasso presenti non tanto degli avanzamenti quanto una serie di sviamenti, peregrinazioni, involuzioni e flessioni. Sottoscrivendo questo tipo di ragionamenti, si perde però di vista il fatto che nella supposta irregolarità di Picasso possano celarsi degli impulsi di resistenza e ribellione. In Picasso, non solo è criticata l’ideologia del progresso, tanto determinante, se non compulsiva, nelle forme d’arte e di vita dell’epoca moderna, ma l’artista si libera pure da ogni inibizione rispetto al desiderio di regressione e reversibilità temporale. (...)
Opporsi alla sregolata disseminazione della Creatività Generica richiede un’attenta valutazione del rischio insito nella graduale omologazione di arte e lavoro e nello spostamento di priorità dai valori d’uso ai valori di scambio nell’apprezzamento delle opere d’arte contemporanea. Questi due processi negli ultimi decenni hanno fatto registrare a livello globale il fenomeno di un’arte deliberatamente votata al business, le cui forme e significati sono inscindibili dal suo valore economico che viene pertanto accettato, da artisti e pubblico, come un effettivo garante di legittimazione artistica. (...)
In uno scenario come questo, il generico ben si accompagna alla ricerca di tecnologie applicabili quasi ovunque e à business delle invenzioni buone per tutti; esso facilita sia l’intensificarsi dei media pubblicitari e televisivi sia la capillare diffusione di dati e informazioni in Internet. Tuttavia, appare evidente come più il generico implementa la flessibiltà della facoltà creativa, più paradossalmente la tiene in ostaggio.
La minaccia di proletarizzazione che pesa sugli artisti tocca due livelli. Il primo riguarda le qualità e le finalità della loro pratica che, una volta orientata al generico, difficilmente potrà mantenere una padronanza di sé tale non solo da generare ma anche da preservare, investire, difendere una gamma di valori a essa interni. Il secondo attiene alla perdita di maestria e autoconsapevolezza rispetto ai propri mezzi di produzione e significazione, che si rivelano ormai inestricabili dal sistema di apparati istituzionali (dalle gallerie al mercato) che vige sulla carriera di un artista che potrà favorirne o meno il successo in base a valutazioni che in entrambi i casi potrebbero restare fuori dalla sua comprensione.
A questa condizione di “miseria” che incombe sugli artisti contemporanei Picasso sembra ribellarsi. Il credo nell’ex nihilo che lo ispira collide con i meccanismi di proletarizzazione; dice che l’esserci singolare di un’opera è sovversivo e attiene esattamente alla sua capacità di generare e custodire la ricchezza inalienabile di ciò che non si traduce, eguaglia o scambia con altro. Con Picasso, l’opera nasce alla luce di tre ingiunzioni dirimenti: negare la datità di natura, trovare e non cercare, compiere un atto d’amore.