Recensioni / Nonostante Gramsci

Nel corso, e all’interno, della sua riflessione soprattutto carceraria, Gramsci andò elaborando sollecitazioni e spunti assai significativi in riferimento al problema del rapporto tra marxismo, critica letteraria e teoria estetica: sollecitazioni e spunti che, se adeguatamente ripresi e sviluppati, avrebbero potuto contrassegnare in modi decisivi il complesso e multiforme dibattito che si è sviluppato in Italia a partire dalla stagione degli anni Cinquanta sin oltre gli anni Settanta e Ottanta, e che si è caratterizzato invece (nonostante Gramsci) in una pluralità di direzioni di ordine insieme essenzialistico, specialistico e idealistico. Detta schematicamente, è questa la tesi di fondo dell’interessante volume di Marco Gatto (Nonostante Gramsci. Marxismo e critica letteraria nell’Italia del Novecento, Macerata, Quodlibet, 2016, pp. 192).
L’autore, prima di indagare e mettere a fuoco la funzionalità di certo “gramscismo” (non di Gramsci) alle modalità del dibattito della critica e cultura letteraria marxista degli anni Cinquanta, si adopera a sottolineare e ad analizzare i passaggi più complessi e innovativi della riflessione del pensatore sardo. Anche in opposizione a certo “normativismo” marxista del suo tempo, Gramsci analizzava con forza ed efficacia critica la nozione di «lotta per una nuova arte» e insieme delineava, in alternativa, le ragioni e i modi di una «lotta per una nuova cultura». Egli scriveva nel Quaderno 23:

Che si debba parlare, per essere esatti, di lotta per una “nuova cultura” e non per una “nuova arte” (in senso immediato) pare evidente […]. Lottare per una nuova arte significherebbe lottare per creare nuovi artisti individuali, ciò che è assurdo, poiché non si possono creare artificiosamente gli artisti. Si deve parlare di lotta per una nuova cultura, cioè per una nuova vita morale che non può non essere intimamente legata a una nuova intuizione della vita, fino a che essa diventi un nuovo modo di sentire e di vedere la realtà e quindi mondo intimamente connaturato con gli “artisti possibili” e con le “opere d’arte possibili”» (A. Gramsci, Quaderni del carcere, a cura di V. Gerratana, Torino, Einaudi, 1975, p. 2192).

Si deve dire invece che negli anni Cinquanta quella che venne chiamata la «lotta per il realismo» (nell’ambito della più generale politica culturale o “battaglia delle idee” della sinistra ufficiale, ovvero del Pci) era intimamente collegata con la natura esterna del rapporto intellettuali-movimento operaio di allora, tale per cui gli intellettuali elaboravano, approntavano, per il nuovo soggetto storico, forme di coscienza (letterarie, storiografiche, filosofiche) di segno “progressista”, rimanendo all’interno dei propri statuti e parametri cognitivi tradizionali: in una sorta di rinnovamento nella continuità. In connessione con ciò, la cosiddetta “critica ideologica” (teorizzata soprattutto da Carlo Salinari) tendeva in sostanza, sia pure in una varietà di modi e di accenti, a individuare e ad attestare, in termini sostanzialmente ideologico-valutativi, il carattere “progressivo” o “reazionario” delle opere degli autori (il cosiddetto «caso Metello», cioè l’accesa discussione, nel 1955, sul romanzo di Vasco Pratolini, rappresentò la precipitazione più esasperata ed emblematica di quella attitudine critico-letteraria).
La rimozione della potenziale fertilità teorico-politica della gramsciana «lotta per una nuova cultura» diventa una sorta di filo rosso all’interno della sapiente ricostruzione che Marco Gatto opera delle fasi successive del marxismo italiano, teorico-estetico e critico-letterario, da Fortini ad Asor Rosa, a Luperini, all’operaismo e al post-operaismo e oltre. Ma, a ben guardare, in quella ricostruzione l’autore finisce con il far convivere e poi decisamente adottare un altro filo rosso, costituito dalla categoria della separatezza-autonomia con cui, a partire dal volume L’anima e la classe, Leone de Castris andò ri-leggendo la storia degli intellettuali, letterati e non, dagli anni Cinquanta sino alla fine del secolo e oltre.
Egli si volse tenacemente a cercare e a disvelare nel crocianesimo egemonico e poi in quello successivo, meno visibile, ma, a suo avviso, molecolarmente pervasivo, diffusivo ancorché frantumato, la presenza resistentissima di una costante, capace di continuare a riprodurre, in mille forme vecchie e nuove (valori, metodi), la separatezza di fondo tra gli intellettuali, la politica, il sociale. Analisi storica, spesso ricchissima e acutissima sul versante culturale e letterario, e insieme tenace cattura di una costante. Era tale iunctura ossimorica a dare vita a quella che si potrebbe chiamare la scrittura trascendentale del grande studioso, col suo fascino immediatamente riconoscibile, e, come la Gorgone, pietrificante.
Sicché il percorso di ricostruzione e di analisi storica, elaborato da Marco Gatto, risente talvolta della forza seduttiva della generalizzazione in sé: come quando, ad esempio, a proposito dell’«utopismo» fortiniano da una parte e dell’«operaismo» asorrosiano dall’altra, egli denuncia entrambi come «il mezzo per un riconoscimento culturale che altrimenti non arriverebbe» e, per questa via, come il sintomo di una «frustrazione narcisistica, probabilmente » (p. 155). La lettura della «piccola storia del marxismo criticoletterario italiano attraverso la categoria dell’autonomia (che è poi un’omologazione di quell’auto-collocarsi degli intellettuali sulla tavola imbandita delle posizioni culturali)» parla – osserva Gatto – del «progressivo allontanamento, durato quasi un ottantennio, dalla prospettiva di Gramsci»: quella legata alla «lotta per una nuova cultura». Senonché, verso la fine del libro, tale durata, o costante, appare ormai remota agli occhi stessi dell’autore: appare come dissolta, incapace persino di costituire un problema, all’interno della complessità di nuovi, inediti processi storici. Bauman ha parlato di «decadenza degli intellettuali», facendo riferimento al mix odierno di specialismo corporativo e di cultura-spettacolo: più propriamente si dovrebbe parlare di processi di riclassificazione dei saperi negli ambiti interagenti della tecnica e del mercato, entro una tendenziale, se pur non priva di contraddizioni, dilatazione “totalitaria” del capitalismo neo-liberista.