Recensioni / Libri _Saggi, Kandinsky (Quodlibet, 2005)

Il filosofo che ha insegnato Hegel ai francesi. Dalle cui labbra pendevano personaggi come Lacan e Breton, l’indimenticato Kojève. Che fra l’altro era nipote di Kandinsky e non era propriamente un amante delle avanguardie divenute “storiche”...

In Italia Alexandre Kojève è conosciuto soprattutto come autore di memorabili lezioni su Hegel, tenute durante gli anni ‘30 nella parigina Ecole Pratique des Hautes Etudes (allora satellite della Sorbona). Lezioni passate alla storia non solo per la lettura originale proposta dal filosofo russo, ma anche per il pubblico di fedelissimi –eterogeneo quanto eccezionale– specchio fedele di un’irripetibile congiuntura intellettuale: Jacques Lacan e André Breton, Georges Bataille e Roger Caillois, Maurice Merleau-Ponty e Raymond Queneau. Pochi tuttavia sanno che Kojève era anche il nipote di Vassily Kandinsky, come ci ricorda la recente pubblicazione dei due scritti consacrati dal filosofo al pittore, in un’edizione filologicamente scrupolosa e arricchita da un’esaustiva postfazione del curatore.
Nonostante tra il pubblico delle lezioni hegeliane compaiano, come abbiamo accennato, i padri dell’avanguardia artistica francese, la posizione del filosofo è nondimeno poco conciliante. Al riguardo sono preziose le note a margine dell’autore, prontamente riportate nell’edizione italiana. Fermandosi infatti alla lettura del solo testo, Kojève sembrerebbe condividere lo spirito dadaista, scrivendo ad esempio che i quadri astratti di Kandinsky “non sono pitture di oggetti, ma oggetti dipinti”. E il testo è del resto del ’36, quando si era largamente consumata la differenza tra una scultura e un oggetto, tra un’opera d’arte e una cosa, quando insomma la produzione artistica pervertiva pericolosamente le dinamiche di quella industriale. Ma questa convergenza è solo apparente: un’annotazione a margine fustiga ogni concessione alla contemporaneità, cubismo incluso: “Non basta ammassare oggetti reali, non artistici, per creare un oggetto artistico”. Fino a liquidare la produzione di oggetti surrealisti come “arte dell’impostura”. C’è poco da stupirsi: non da oggi, ad esempio, ci siamo abituati alle clamorose disattenzioni degli storici dell’arte antica nei riguardi delle manifestazioni artistiche a loro contemporanee. Persino quando i loro rispettivi linguaggi si somigliano e si richiamano per echi lontani.
Ciononostante, le parole di Kojève su Kandinsky restano importanti, al punto che quest’ultimo si riappropriò del termine “concreto” per qualificare la sua opera (Konkrete Kunst, 1938). “Concreto” era infatti più pregnante del vago “astratto”, che ha storicamente conosciuto sorte migliore. Per riassumere, secondo l’argomentazione di Kojève –stringente e strutturata come un teorema– la pittura rappresentativa è astratta e soggettiva: astratta in quanto il Bello viene estratto, fa astrazione dal reale; soggettiva perché quest’operazione richiede la partecipazione attiva dell’artista, l’elaborazione delle sue impressioni.
Al contrario, la pittura non rappresentativa è concreta e oggettiva: concreta in quanto creata direttamente dall’artista, come un oggetto che non esiste nella realtà esterna; oggettiva in quanto il quadro esiste senza di me, è una creazione “indipendente dal creatore, dal soggetto creante”. Per questo Kandinsky “crea i suoi quadri [...] come un essere vivente ne genera un altro”, se non addirittura “come Dio crea l’Universo”. Opere indifferenti all’artista quanto allo spettatore, al punto che Kojève parla di “un quadro tramite Kandinsky” piuttosto che “di Kandinsky, se non semplicemente di Quadro.
La pittura non rappresentativa ci permette infine di fare esperienza di “qualcosa che è solamente ‘pittura’”, come se questo fosse il risultato più proprio della progressiva riduzione del soggettivismo e dell’astrazione (in senso kojèviano). Bisogna del resto ricordare che di Kandinsky Kojève parla en philosophe: l’Arte e il Bello –“in-se-stesso, per-se-stesso e tramite-se-stesso”– hanno sempre l’iniziale maiuscola. Per l’autore di una storia della filosofia pagana qui ne va, nientemeno, che dell’ontologia dell’opera d’arte.


Alexandre Kojève – Kandinsky (a cura di Marco Filoni) - Quodlibet, Macerata 2005 - ISBN 88-7462-039-X - Pagg. 82, € 10
Info: www.quodlibet.it