Recensioni / Anticipiamo un saggio del filosofo francese Alexandre Kojéve

Anticipiamo un saggio del filosofo francese Alexandre Kojève dedicato allo zio, il pittore Wassily Kandinsky. Il testo inedito è stato ritrovato tra le carte dell’archivio privato di Kojève e viane pubblicato per la prima volta nel volumetto «Kandinsky», a cura di Marco Filoni, (traduzione di Marco Filoni e Antonio Gnoli) in libreria per Quodlibet da oggi (pagine 90, Euro 10)

Ciò che più colpiva di Kandinsky, in tutti coloro che l’hanno conosciuto intimamente, è la straordinaria armoni della sua intera vita, così come della personalità stessa che questa vita esprimeva. Vita senza conflitti, senza scontri, senza sconvolgimenti intimi o esterni. Personalità senza angoli acuti, senza dissimmetrie apparenti né reali. Vita artistica e privata che stillava naturalmente, nel suo insieme e fino ai suoi minimi dettagli, da una personalità compiuta in se stessa. Personalità che ha saputo esprimersi interamente attraverso la vita e nelle opere d’arte, senza che quest’espressione l’abbia deformata rispetto a ciò che essa realmente era.
Ciò che un tempo si diceva dell’opposizione fra Classicismo e Romanticismo resta sempre valido, ed è a quest’opposizione che bisogna generalmente far ricorso se la si vuol esprimere brevemente. Così, mentre comparando la vita di Kandinsky alle grandi esistenze romantiche si sarebbe tentati di trovarla “insipida” o “banale”, non si potrebbe rettificare questo giudizio se non constatando che questa vita è stata essenzialmente classica: cioè lucida e serena e straordinarimente equilibrata.
Come in tutti i veri classicismi, l’equilibrio della vita non è stato realizzato da Kandinsky a scapito della “potenza” o della “tensione”. E l’armonia della sua personalità non è stata acquistata al prezzo di una semplificazione che sarebbe stata un impoverimento. Al contrario, è proprio l’estrema ricchezza di questa personalità che determina la sua armonia interna e manifesta. L’equilibrio era dato dal fatto che ogni punto era bilanciato dal suo contro-punto. I sentimenti – familiari, sociali, politici – potevano dunque essere profondi e forti: essi non sconvolgevano nulla, poiché erano in armonia fra di loro e nell’insieme. La ragione poteva dunque restare lucida e serena contemplando l’equilibrio armonioso di una vita in se stessa appassionata e tesa. L’uomo che, a trent’anni, ha potuto abbandonare una brillante carriera di studioso e di giurista per dedicarsi interamente alla pittura, non ignorava certo la “passione”. Ma poiché il bisogno dell’arte e la ricerca scientifica non facevano che esprimere due aspetti complementari di una personalità unica in se stessa questa trasposizione radicale dell’esistenza non è stata uno sconvolgimento e non ha provocato conflitti.Ed è ancora senza sconvolgimenti né conflitti che Kandinsky ha potuto vivere e lavorare in atmosfere politiche differenti e in ambienti culturali molto diversi. Multiforme egli stesso, integrava facilmente tutto ciò che era vero, bello e buono. Solo il male, in tutte le sue forme, era per lui assolutamente inaccettabile. È così che ha potuto dipingere e insegnare nella Germania di Weimar, ma tutto ciò che egli ha voluto accettare dal governo hitleriano fu un visto d’uscita…
È forse contemplando l’opera pittorica di Kandinsky che lo si comprende meglio in quanto uomo. Certo, la sua pittura non è nient’altro che “espressionista”, ed era per “esprimersi” che prendeva in mano il pennello. I suoi quadri e i suoi disegni avevano lo scopo di rivelare gli aspetti oggettivi dell’Essere, inesprimibili altrimenti se non attraverso le forme e i colori. Ma, con la sua arte, vedeva e mostrava nel  reale ciò che egli stesso realizzava nella sua esistenza, esprimendo così la sua personalità: la calma equilibrata e serena d’una ricchezza contrappuntistica e armoniosa, che resta concreta nella sua universalità.
Vanves, 21 VII 1946.