La ripubblicazione della Precronistoria di Germano Celant è un momento di gioia per quanti hanno ricercato questo ormai introvabile volume: e non solo perché dopo la sua prima edizione, nel 1976, non ci sono state ristampe, ma anche perché offre, a distanza di tempo, un percorso puntuale su un periodo fondamentale dell’arte e della sua storia recente.
Nato dalla volontà (dalla consapevolezza) di documentare una serie di ricerche e di fenomeni apparsi all’indomani degli anni Cinquanta (di una stagione legata ai venti dell’informalità, più esattamente), Precronistoria 1966-1969 minimal art, pittura sistemica, arte povera, land art, conceptual art, body art, arte ambientale e nuovi media (questo il sottotitolo completo) è un contenitore di idee, un perimetro che raccoglie – prima che sia troppo tardi, «(e, oggi, il “troppo tardi” viene di solito anche “troppo presto”)» ha avvertito Dorfles nell’introdurre le sue Ultime tendenze – il presente dell’arte, le sue vicende e i suoi racconti.
«Questa cronistoria, la cui prima stesura è dell’agosto 1972, prende in considerazione solo gli avvenimenti collettivi costituiti principalmente da manifestazioni di gruppo e da fonti scritte, quali saggi, pubblicazioni e dichiarazioni che hanno determinato, nella storia dei singoli movimenti, gli atteggiamenti teorici e le definizioni linguistiche, mentre tralascia gli apporti individuali dei singoli artisti», avvisava Celant nella prima, breve e precisa introduzione. «La scelta del periodo dal 1966 al 1969 è dovuta al fatto che questi quattro anni hanno segnato la pre-historia della minimal art, della conceptual art, della land art, dell’arte povera, della body art, dell’arte ambientale, della pittura sistematica e dei nuovi media (videotape, disco, fotografia, film, ecc.) affermatisi definitivamente negli anni settanta. Il materiale raccolto, desunto dalle manifestazioni e dai documenti pubblicati, ha pertanto ragione storica. Solo in alcuni casi, in assenza del documento iconografico, se ne è pubblicato uno storicamente simile».
Interviste, dichiarazioni d’artisti, misure critiche o riflessioni si sommano a immagini, a documenti e a recensioni, per costruire l’atmosfera di un momento, di un periodo caldo e vivace che, se da una parte intreccia l’arte alla vita, dall’altra tesse una nuova modalità di fare critica, il cui ruolo diventa quello di evitare «l’invasione della scrittura sull’immagine», di rilevare l’ esistente , «senza la necessità di offrire un punto di vista», ma anzi di raffreddare forse la propria azione per presentare una testimonianza oggettiva che si avvicina all’opera con la coscienza di esserne compagna di strada.
Legato a un metodo che si nutre di presente e di presenze, il volume muove dalla constatazione di un’arte «che si affida a un procedere vitale», «che appare per vivere più che per rappresentare»: e in questa atmosfera energetica, «che si nutre autonomamente e produce uno strappo nella tradizione del figurale e del letterario, si riduce» anche «il valore interpretativo del critico d’arte, perché la vita va vissuta», puntualizza Celant, «condivisa quando succede, nel suo apparire irripetibile con i suoi accidenti che non ricalcano mai le orme precedenti».
Si tratta dunque di una narrazione aperta, fatta di complicità e di polifonia – sfilano del resto testi e dichiarazioni di di Lawrence Alloway, Art & Language, Robert Barry, Maurizio Calvesi, Germano Celant, Michael Claura, Piero Gilardi, Douglas Huebler, Joseph Kosusth, Sol Lewitt, Lucy Lippard, Robert Morris, Daniela Palazzoli (che tra l’altro organizza a Torino, nel dicembre del 1967, la mostra Per un’ipotesi di Con temp l’azione ), Nam June Paik, Michelangelo Pistoletto, Robert Smithson, Tommaso Trini, Buren-Mosset-Parmentier-Torioni e Lawrence Weiner –, di registri che si compenetrano e vivono insieme per mostrare nel migliore dei modi qualcosa che non si può mostrare se non a singhiozzi, accenni, mancanze.
Un’ipotesi critico-storica è, in questa nuova edizione, «riproduzione fotografica (nelle dimensioni dell’originale)», il saggio scritto da Celant per contestualizzare la Precronistoria , per tracciare un filo sottile, per mostrare tra le righe la parola di Dorfles e dell’indimenticabile Eugenio Battisti (il padre dell’ Antirinascimento ), per disegnare una piccola storia dell’arte legata alle mostre e ai cataloghi, alle proairesi critiche, a una militanza sensibile, luminosa.