Recensioni / Il giardino segreto

Quello di Gilles Clément, celebrato paesaggista francese. Nascosto in una valle frequentata fin da bambino, ha visto nascere i concetti che lo hanno reso famoso

Tutto comincia con un giovane entomologo che si mette a esplorare nuove tecniche di giardinaggio, nuovi modi di lavorare insieme alle piante e agli insetti del suo giardino, affinché questo, come ogni vero giardino, diventi specchio del paradiso, un luogo felice. Ciò avveniva alla fine degli anni Settanta nella Creuse, la regione meno popolata della Francia. Il giardino in questione, la Vallée, si trovava poco lontano dalla casa in cui Gilles Clément aveva passato la sua infanzia, in un paesaggio dove restavano ancora tracce del mondo contadino che l’agricoltura industriale aveva quasi del tutto cancellato, mentre la foresta pian piano riprendeva terreno. Qui Clément decise di costruirsi una casa energeticamente autosufficiente con le sue mani. La vallata tracimava di piante selvatiche e insetti. Era già un paradiso. Come creare un giardino che mantenesse e anzi magnificasse tanta ricchezza? Ciò che Clément aveva imparato a fare, all’École d’horticulture de Versailles, era gestire un giardino, sopprimere le forme di vita di cui non si aveva bisogno, affidarsi alla chimica e alla tecnologia più che alla conoscenza della flora e della fauna. Bisognava perciò inventare nuovi modi di fare che permettessero di valorizzare, non distruggere, la vita presente nel giardino.

Il giardino in movimento
In estate la Vallée era invasa dal sontuoso pànace gigante (Heracleum mantegazzianum), pianta considerata tossica e invadente, una di quelle che hanno pessima reputazione presso giardinieri e agricoltori malgrado la bellezza delle sue ombrelle bianche, sempre coperte di insetti variopinti. Che fare? Dovendo un giorno tracciare un sentiero con la falciatrice, Clément decide di aggirarli, come per non disturbare. È l’atto di nascita di quello che chiamerà più tardi “Giardino in movimento”, uno dei concetti su cui si fonda il suo pensiero: il giardiniere non impone una forma al giardino ma lascia che il luogo, o meglio le energie all’opera nel luogo, gli indichino la strada, modificando continuamente il paesaggio. Da là deriva anche una delle sue formule più note: “Operare il più possibile con la natura e il meno possibile contro”.
Il giardino che nasce da tale filosofia è un incanto botanico. Oggi, nella vallata, si attraversano paesaggi selvatici, praterie o sottoboschi ombrosi, in cui le piante locali, carpini, salici o biancospini, si mescolano a essenze provenienti da ogni parte del mondo, Cercidiphyllum japonicum, Parrotia persica, gunnere, aceri giapponesi. Si incontrano ambienti diversi, passando per settori in cui la presenza del giardiniere è più visibile e i bossi potati a sfera o ad arco emergono dal fogliame. E ovunque i fiori selvatici, euforbie, iris, nigelle, digitali, si riseminano liberamente per formare arazzi di mille colori.
Oltre ai giardini (dal Domaine du Rayol sulla Costa Azzurra al parco del museo parigino del quai Branly), Gilles Clément ha prodotto un complesso corpus teorico, espresso in libri che nel corso degli anni hanno testimoniato dell’evoluzione del suo pensiero. Un pensiero che non ha nulla di astratto proprio perché scaturisce dal giardino, frutto di un’esperienza umana prima che intellettuale. Un pensiero “in movimento” e perciò creativo. Si tratta, insomma, di una filosofia organica, vicina alla terra e ai suoi insegnamenti, come ci si aspetta da un uomo che preferisce dichiararsi giardiniere piuttosto che paesaggista, filosofo o scrittore.

Il giardino planetario
Lo stesso vale per un altro concetto fondamentale elaborato da Clément, il “Giardino planetario”: l’immagine della Terra come un grande giardino di cui l’uomo deve imparare a essere responsabile, come lo è un giardiniere verso il pezzetto di mondo che gli è stato affidato. Anche la Vallée è un luogo in cui la continua mescolanza planetaria di semi ed energie, grazie al vento, all’acqua, all’azione dell’uomo, crea nuovi paesaggi, nuove espressioni di diversità biologica, nuove possibilità di vita. È là, mettendo le mani nella terra, che Clément ha sperimentato la possibilità di creare uno spazio in cui l’uomo – l’uomo “simbiotico” – può rappacificarsi con le altre forme di vita, ritrovare un posto all’interno della natura, liberarsi dalla solitudine in cui si è rinchiuso quando ha cominciato a considerarsi padrone del cosmo e non semplice membro della comunità vivente che popola il pianeta.
L’altro concetto su cui poggia il pensiero di Clément, quello di “Terzo paesaggio”, fa riferimento a quei luoghi marginali e più o meno antropizzati, la cui evoluzione viene lasciata, magari involontariamente, alla natura: bordi di strade, aree residuali, campi abbandonati. Questi «frammenti indecisi del Giardino planetario», dice, ci sono necessari in quanto zone di rifugio per la biodiversità (ma anche, si potrebbe aggiungere, per quel margine di umanità che è in noi, che resiste all’omologazione). Anche questa idea, beninteso, viene dalla Vallée, dove alcune zone vengono abbandonate a se stesse, come piccoli laboratori in cui la vita elabora senza sosta nuove forme, nuovi imprevedibili processi.
Il giardiniere le osserva giorno per giorno con passione. Sa che il giardinaggio è un lavoro dello sguardo più che una tecnica. Come il giovane paesaggista che alcuni decenni fa si insediò nel suo giardino perduto nella campagna francese, è sempre disposto a prendere nota, imparare, stupirsi di fronte alle strategie della natura. E di fronte alla bellezza che da tale movimento nasce in ogni istante.