Recensioni / «Quando papà mi faceva leggere i libri di Bukowski»

35 anni senza Beppe Viola. Il ricordo della figlia Marina:«Eterno ragazzo, che quando scriveva diventava severo

Ancora qualche anno e quelli trascorsi senza Beppe Viola supereranno quelli che la vita gli ha concesso di trascorrere tra stadi e ippodromi, tra redazioni e bar, tra uomini illustri e perfetti sconosciuti.
Il vuoto lasciato nel mondo del giornalismo e (non è un’esagerazione) della cultura italiana è incalcolabile, ma resta poca cosa rispetto a quello che la sua famiglia ha dovuto riempire da quella sera del 17 ottobre. Intorno a mamma Franca sono cresciute le quattro figlie e, tra loro, Marina è quella che più si è confrontata tra le righe con papà, pubblicando qualche anno fa “Mio padre è stato anche Beppe Viola” (Feltrinelli).
Marina si è messa a scrivere non solo da figlia, ma anche da mamma (nel 2015 ha pubblicato per Rizzoli “Storia del mio bambino perfetto”) e, pur vivendo negli Stati Uniti, alle porte di Boston («a metà strada tra il campus di Harvard e quello del MIT») mantiene uno sguardo attento sull’Italia, su Milano e su quel papà che non c’è, ma che non ha mai smesso di dialogare con chi nei libri trova compagni di vita.
«Ogni volta che torno in Italia mi sorprendo di quante persone ricordino papà. È un affetto quasi commovente» racconta Marina, che a Milano nei giorni scorsi ha presentato “Sportivo sarà lei”, riportato in libreria da Quodlibet, arricchito da nuovi inediti.

Cittadina statunitense, tornando cosa ritrova della Milano di suo padre?
«Quasi niente. AI di là delle trasformazioni urbanistiche o architettoniche, è cambiato il linguaggio. Quella lingua che confluiva nella scrittura di papà».

Diventata scrittrice, come giudica le pagine che ha lasciato?
«I suoi testi sono ricchi di espressioni gergali che farebbero impazzire un traduttore. E poi, rileggendolo, colpisce l’assenza di aggettivi: papà odiava i ghirigori».

Come lo ricorda alle prese con la scrittura?
«Il mio è un ricordo sonoro: il rumore della macchina da scrivere, quando lavorava a casa».

Quattordicenne quando papà morì, ha influenzato i suoi gusti di lettrice?
«Era diverso da tanti papà anche in questo. Mi ricordo che, quando avevo 12 anni, mi diede un libro di Charles Bukowski e mi disse di leggerlo.

E lei come reagì?
«All’epoca Bukowski non mi piacque molto, ma questo episodio racconta molto di papà: era come un adolescente, sempre pronto a giocare con noi figlie. Diventava serio solo quando si metteva a scrivere: era molto severo con se stesso».

Se dovesse paragonarlo a un autore americano, a chi lo accosterebbe?
«Per certi versi, senza voler apparire esagerata, mi ricorda Woody Allen, che riesce a far ridere con dettagli profondamente newyorkesi anche chi vive lontano anni-luce da New York. Papà faceva lo stesso con Milano».

I suoi figli cosa sanno di questo nonno che non hanno mai incontrato?
«Lo conoscono dai racconti di famiglia, ma purtroppo non hanno letto quasi nulla di quello che ha scritto, perché loro parlano pochissimo italiano. Sofia però adesso che è al college si cimenta sempre più spesso con la scrittura».

Ci sarà una terza generazione Viola in libreria?
«Come tutte le figlie mi fa leggere pochissimo di quello che scrive, ma gli insegnanti dicono sia molto brava. E, visto che il cognome di mio marito è lungo e composto (Canale-Parola ndr), a volte si firma Sofia Viola. Cosa ne direbbe il nonno? Sorriderebbe orgoglioso di questa nipotina che scrive in inglese, una lingua che lui si ostinava a studiare».

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