Recensioni / Che facciamo dei pre-adamiti?

Avevo detto sin dall'inizio di questa rubrica, ormai diciotto anni fa, che non vi avrei trattato necessariamente argomenti d'attualità – ovvero che se una sera mi fosse accaduto di rileggere un canto dell'Iliade avrei considerato di attualità le riflessioni che mi aveva suscitato.
Ed ecco che, mentre venti di guerra sconvolgono il mondo, ho trovato su un catalogo d'antiquariato librario un volumetto che cercavo da tempo e giudicavo introvabile. Introvabile perché, come vedremo, quell'opera era stata condannata al rogo, anzi il rogo l'aveva rischiato l'autore, e immagino che sia lui che l'editore si siano affrettati a far sparire le copie in loro possesso. L'ho trovato per una cifra quasi irrisoria, non perché l'antiquario non ne conoscesse la rarità, ma perché si tratta di un libretto di piccole dimensioni, di nessuna piacevolezza grafica e tipografica, e che nessuno (salvo qualche studioso) muore dalla voglia di ospitare nei propri scaffali.
Si tratta della raccolta di due trattatelli, Prae-Adamitae e Systhema theologicum ex praeadamitarum hypothesi, pubblicato nel 1655 da un protestante, Isaac de la Peyrère. Cosa diceva di straordinario il suo autore, tanto da essere poi costretto, per salvare la pelle, a farsi cattolico e sottomettersi al papa?
Si era in un'epoca in cui fiorivano studi su una lingua madre all'origine di ogni civiltà, di solito identificata con l'ebraico di Adamo, ma al tempo stesso, a ormai un secolo e mezzo dalla scoperta dell'America, arrivavano notizie sempre più ricche su quelle popolazioni lontane, per non parlare dei risultati di altre esplorazioni e viaggi, sempre più frequenti, in altri paesi esotici, compresa la Cina. E negli ambienti "libertini" stava prendendo piede un'ipotesi attribuita ad Epicuro (lettera a Erodoto) e poi ripresa da Lucrezio, in cui si diceva che i nomi non erano stati imposti una volta per tutte e in una lingua privilegiata all'inizio del mondo, ma dipendevano dalla varietà con cui le varie stirpi umane avevano reagito alle proprie singolarissime esperienze. Così stirpi diverse avevano dato origine in modi e tempi diversi a diverse famiglie di lingue (e di cultura).
Ed ecco apparire la proposta di Isaac de La Peyrère, calvinista, che nel suo libro, interpretando in modo certamente discutibile alcuni testi biblici (perché doveva pur trovare pezze d'appoggio ortodosse alla sua tesi alquanto eterodossa), avanza l'idea di una poligenesi dei popoli e delle razze. La Peyrère si rende conto che le cronologie bibliche, con i loro seimila anni o giù di lì dall'inizio del mondo, erano troppo ristrette rispetto alle cronologie dei Caldei, degli Aztechi, degli Incas e dei Cinesi, specialmente per quanto riguardava i loro racconti sulle origini del mondo. Sarebbe dunque esistita un'umanità pre-adamitica. Ma se così era, questa civiltà (che egli identificava con quella dei Gentili, ma poteva essere identificata con altre razze) non poteva essere stata toccata dal peccato originale, e sia il peccato che il diluvio riguardavano soltanto Adamo e i suoi discendenti in terra ebraica. D'altra parte l'ipotesi era già apparsa in ambiente musulmano, ed elaborando dal Corano, nel X secolo Al Maqdisi aveva accennato all'esistenza di altri esseri sulla terra prima di Adamo.
Si capisce quanto potesse apparire eretica la proposta. Essa metteva in questione il diluvio universale, perché se sull'arca si erano salvati solo i familiari di Noè esso avrebbe dovuto distruggere tutte le altre stirpi, che invece avevano continuato a prosperare; ma metteva anche in dubbio la centralità, per la storia umana, della passione di Cristo. Solo una piccola parte dell'umanità aveva commesso il peccato originale ed aveva dunque bisogno, per salvarsi, di essere redenta. Insomma, seimila anni di storia sacra ridotti a un piccolo incidente mediterraneo. Altro che rogo.
Si noti che della tesi di La Peyrère qualcuno potrebbe dare un'interpretazione razzista, pensando che i suoi pre-adamiti fossero delle popolazioni superiori rispetto alla stirpe giudaica. In effetti egli era su posizioni opposte, di grande interesse e apertura ecumenica rispetto alla tradizione ebraica. Semplicemente egli stava compiendo una singolare operazione anti-etnocentrica, cercando di mostrare che l'universo mondo, e la civiltà, non siamo soltanto "noi", ma anche gli "altri", i quali anzi avevano più storia della civiltà giudaico-cristiana.
Ed ecco che la casualità della mia piccola riscoperta si rivela, se non meno casuale, almeno più provvidenziale di quanto credessi all'inizio, oggi che di nuovo ci lasciamo accecare dall'idea di una crociata contro chi di noi (pensiamo) ha meno storia e meno titoli di nobiltà. Quanto alle sue dimostrazioni, La Peyrère aveva sbagliato quasi tutto ma, quanto allo spirito di apertura a civiltà diverse, il povero perseguitato, e il suo maltrattatissimo libretto, ci possono ancora far meditare.