Recensioni / Un'interpretazione originale nel concetto di peccato e di legge divina

Per gentile concessione dell’Editore Quodlibet di Macerata, pubblichiamo uno stralcio dal libro di La Peyrère:
Paolo apostolo, nei versetti 12-14 del capitolo V dell’Epistola ai Romani scrive:
“12. Come a causa di un solo uomo il peccato è entrato nel mondo e attraverso il peccato la morte, così anche la morte ha raggiunto tutti gli uomini, perché tutti hanno peccato.
13. Fino alla legge infatti c’era peccato nel mondo, anche se il peccato non era imputato, poiché non esisteva la legge.
14. Ma la morte regno da Adamo fino a Mosè anche su quelli che non avevano peccato a somiglianza della trasgressione di Adamo, il quale è figura di colui che doveva venire”.
Di solito gli interpreti spiegano il “fino alla legge” del tredicesimo versetto riferendo tale espressione al tratto di tempo che intercorse da Adamo a Mosè, periodo durante il quale, com’essi affermano, il peccato, pur essendo presente nel mondo, non veniva annoverato a delitto (cioè, come si dice comunemente, non veniva imputato). Essi sostengono quindi che il peccato cominciò ad essere imputato a partire da Mosè, e non a partire da Adamo…
[Paolo] intese… dire proprio quanto segue, e questo è il senso generale del passo: Gli uomini, respinti da Dio a causa di un solo uomo-peccatore, tornarono alla grazia a causa di un solo uomo-Dio. Il peccato entrò nel mondo a causa di un solo uomo-peccatore, che trasgredì la legge di Dio: l’assoluzione da quel peccato, definita “giustizia” e “giustificazione”, entrò nel mondo a causa di un solo uomo-Dio, che obbedì alla legge divina, e fu reso capro espiatorio per la colpa di quell’uomo-peccatore. Quell’uomo peccatore era figura, ma figura antitetica, di quest’uomo-Dio. L’Apostolo volle tuttavia che nel contrasto di tale opposizione la grazia di quest’uomo-Dio risultasse, per così dire, “più imputata” della trasgressione di quell’uomo-peccatore: che la giustificazione dell’uno avesse un valore superiore del delitto dell’altro, e che l’obbedienza dell’uno fosse più piena e potente della resistenza dell’altro. In ciò eterna vige l’antitesi tra l’uno e l’altro. Quegli è Adamo, questi è Gesù Cristo; quegli è il primo Adamo, questi è il secondo Adamo. L’Apostolo afferma inoltre che, per la violazione — da parte del primo uomo, Adamo — di quella legge divina, tutti gli uomini divennero avversari e nemici di Dio; che tutti gli uomini peccarono a causa della trasgressione di quella legge; che per la disobbedienza di quell’uomo tutti gli uomini furono resi peccatori; che a causa di quel peccato — cioè per la trasgressione di quella legge — la morte raggiunse tutti gli uomini, regnando su di loro. E l’Apostolo ha dimostrato tutto questo in modo più che evidente: né possiamo diventar ciechi davanti a tanta luce, se non — eventualmente — perch’essa è abbagliante. Egli ha cioè dimostrato — come ci appare ormai chiaro — che l’imputazione del peccato ebbe inizio a partire dalla trasgressione della legge data ad Adamo, e non a partire dalla legge data a Mosè, e che detta imputazione cominciò con Adamo e cessò in Cristo. Qui non c’è infatti antitesi fra Mosè e Cristo: il divino Paolo ha in questo capitolo costituito Adamo quale tipo, o unico antitipo, di Cristo… La mia posizione… non determina alcuna difficoltà. Anzi, ne intravedo molteplici vantaggi: illumina di potente luce tanto il Vangelo ed i versetti del divino Apostolo quanto la storia della Genesi; concilia la Genesi ed il Vangelo con l’astronomia degli antichi, nonché con la storia e la filosofia dei popoli — fin dei più antichi. Pertanto, se avessero voluto provarvisi i Caldei…; se avessero tentato gli antichissimi storici egizi, onusti delle loro antichissime dinastie regali; se pure vi si fosse sforzato Aristotele stesso, oppure, con Aristotele, i Cinesi (filosofi e storici probabilmente eccelsi); oppure, se avessero potuto sottoporsi alla prova i dotti (se mai se ne troveranno) di sconosciuti popoli australi o settentrionali, cui (come gli eruditi cinesi, egizi e caldei) fossero da innumerevoli anni tramandate e note le proprie vicende storiche — se, dicevo, tutti costoro si fossero fatti avanti, avrebbero compreso senza difficoltà la storia della Genesi, ove ne avessero seguito la mia esposizione, e sarebbero più volentieri divenuti cristiani…
Di una cosa voglio particolarmente pregare il mio benevolo lettore: che consideri quanto ho qui esposto una mera esercitazione. Non oserei infatti sostenere una tesi che fosse insufficientemente congruente all’opinione accettata da tutta la Chiesa, ai cui insegnamenti — lo ribadisco solennemente — mi rimetto senza riserve, senza doppiezza e devotissimamente.