Per i lettori che lo hanno incontrato al suo primo apparire, il diario della malattia di Giovanni Cenacchi si è subito imposto come un classico: un piccolo, impegnativo e indefinibile classico, nel quale le parole del Giobbe biblico tornano a essere pronunciate da un uomo del nostro tempo, con un atteggiamento a tratti ironico e a tratti disincantato, ma non per questo disposto a smettere di protestare, implorare, cercare. Ora riproposto da Quodlibet con una prefazione di Emanuele Trevi e con l’intervento dell’arcivescovo di Bologna, monsignor Matteo Maria Zuppi, anticipato qui a fianco, Cammino tra le ombre (pagine 128, euro 14,00) era stato pubblicato inizialmente da Mondadori nel 2008. A fare da viatico, in quel caso, era una “risposta” di Enzo Bianchi, dove il monaco di Bose parlava senza mezzi termini di un testo «rischioso, non per il lettore, ma per la salvaguardia della densità umana» racchiusa nella testimonianza di Cenacchi. Era, già allora, un libro postumo. L’autore era nato nel 1963 a Cortina d’Ampezzo per una casualità simile, sotto molti aspetti, a una profezia. Nonostante avesse sempre vissuto a Bologna (la città nella quale ancora oggi un gruppo di amici tiene viva la sua memoria), Cenacchi aveva infatti dedicato alla montagna tutte le sue energie di esploratore e di scrittore. Si era occupato molto di Dolomiti – attualissimo, tra gli altri, Teatri di guerra sulle Dolomiti. 1915-1917, firmato insieme con Mario Vianelli e uscito da Mondadori nel 2006 – e di altri temi classici dell’alpinismo, come la conquista del K2, ma il suo titolo più caratteristico rimane probabilmente I Monti Orfici di Dino Campana, edito nel 2003 da Polistampa di Firenze, modello insuperato di commistione fra critica letteraria e trekking appenninico. In quello stesso anno, quasi senza preavviso, a Cenacchi era stata diagnostica la grave forma tumorale che nel 2006 lo avrebbe portato alla morte. Idealmente indirizzato alla figlia Viola, protagonista di alcune delle notazioni più toccanti («Ho passato la notte sveglio, a guardarti dormire. Non mi sono sentito così riposato da mesi»), Cammino tra le ombre è il resoconto di una sofferenza subito riconosciuta come irreversibile («Io sono morto», recita l’incipit), ma ugualmente combattuta con gli strumenti, mai contradditori, della deprecazione e della preghiera. Un lungo duello con Dio e con l’ipotesi della sua assenza, raffigurata anche graficamente con il ricorso alla lettera minuscola («Il male è la vergogna di dio»), ma anche una contrastata celebrazione della speranza che, a dispetto di tutto, continua ad affacciarsi anche nei momenti più bui dell`agonia: «Un conforto: pensare di avere un destino, non un futuro».