Isaac La Peyrère, “I preadamiti”, a cura di Giuseppe Lucchesini e Pina Totaro, edizioni Quodlibet, Macerata 2004, pagg. XL-172, euro 20,00.
In una veste graficamente molto elegante vede la luce l’ottima traduzione italiana (annotata con sobrietà e precisione) di un testo pubblicato anonimo nel 1655 (ma scritto da Isaac La Peyrère) che mise a rumore l’Europa. Sulla base di un’interpretazione di quattro versetti della Lettera ai Romani di San Paolo, vi si sosteneva la tesi che prima di Adamo fossero esistiti altri uomini.
Questa edizione è inserita in una serie di fonti e studi per la storia dello spinozismo intitolata Spinozana e diretta da Filippo Mignini (che è noto, non solo in Italia, come uno dei maggiori studiosi di Spinoza). Agli studi spinoziani anche Pina Totaro ha dato significativi contributi e la seconda parte della sua introduzione contiene pagine importanti sulla presenza di La Peyrère in Spinoza e sulla trasfigurazione che, nel Trattato politico, subiscono le nozioni di legge, trasgressione e peccato che sono al centro del nostro testo. Forse perché esclusivamente interessata agli esiti spinoziani, Totaro, presentando il suo autore, non fa alcun cenno al rapporto che intercorre fra le tesi di La Peyrère e la lunga e complicata vicenda delle discussioni sulla storia umana e sulla storia della natura.
Gli uomini dell'età di Cartesio ritenevano di vivere a seimila anni di distanza dalla creazione del mondo. Alla fine del Settecento, Kant parlava di una natura che ha miriadi di milioni di anni. Nel corso di centocinquant’anni la storia del mondo si era improvvisamente allungata all’indietro. Quella “scoperta del tempo profondo” che Stephen Toulmin studiò alla metà degli anni Sessanta e sulla quale Stephen Jay Gould ha scritto un libro affascinante (entrambi sono tradotti da Feltrinelli) riguarda sia la storia della natura sia la storia umana e “combinò le percezioni di quelli che noi oggi chiamiamo teologi, archeologi, storici e linguisti, oltre che dei geologi”.
Quella scoperta trasse alimento dall’idea di una sorta di sconosciuto abisso che si estendeva dietro il presente. Al primo formarsi di quell’idea, il testo sui Preadamiti dette un contributo decisivo. La Peyrère aveva infatti affermato che “anche la più piccola parte del passato oltrepassa di gran lunga l’epoca della creazione che viene di solito fatta coincidere con Adamo”. Dopo il 1655, non solo la cronologia e la storia dei popoli più antichi, ma anche la geologia e la storia della Terra divennero terreni minati entro i quali era necessario muoversi con la massima cautela.
Nella prospettiva di La Peyrère il Diluvio era diventato un episodio della storia ebraica e aveva perso il suo carattere di universalità. Nelle migliaia dei secoli fantasticati dall'autore dei Preadamiti si era svolta una storia pluralistica, costruita da popoli differenti, che aveva condotto gli uomini, già in tempi lontanissimi, alla costruzione di grandiosi monumenti, di arti raffinate, di scienze astratte e difficili. La storia enormemente ampia della quale La Peyrère aveva teorizzato l'esistenza sembrava estendersi come un inesplorato e sterminato continente dietro i 5.600 anni della cronologia tradizionale. L'enorme spazio di tempo fantasticato dall'autore dei Preadamiti verrà in seguito popolato non solo da sapienti Caldei, da misteriosi Egiziani e da raffinati Cinesi ma anche da preumani bestioni “tutto stupore e ferocia” e da “scimmie” destinate a diventare uomini.
La storia della natura diventerà incomparabilmente più lunga della storia umana. Un'ultima osservazione: tra gli studi elencati all'inizio andava ricordato anche l'importante saggio d Alessandro Dini su “La teoria preadamitica e il libertinismo di La Peyrère”.