Recensioni / Storiette e Storiette tascabili

Nelle Pietre volanti, uno dei suoi migliori lavori dopo la non programmatica trilogia iniziale, Luigi Malerba parlava del principio ologrammatico, «vale a dire di quelle immagini fisiche le cui qualità di forma, di prospettiva, di colore, contengono in ogni loro punto tutte le informazioni dell’insieme che rappresentano».
Storiette e Storiette tascabili prova che tale principio vale per ogni punto contenuto al suo interno, perfettamente rappresentativo dell’insieme Malerba. In altri termini, ogni storia presente in questa spassosissima raccolta racchiude in sé, condensate e un po’ nascoste dietro gli intrecci di comicità bambinesca e adulta ironia che volge in riso riflessioni destabilizzanti, (quasi) tutte le caratteristiche riscontrabili nell’intero corpus malerbiano.
Ciò che nel Serpente o in Salto mortale è elaborato tenendo conto di tutti gli strumenti della cultura – non solo letteraria – contemporanea (dal principio di indeterminazione alla neoavanguardia), nelle Storiette è semplificato in vista dei destinatari cui il libro si rivolge. Ovvero i bambini, che naturalmente colgono perfettamente il messaggio e magari se la ridono anche un po’: non ancora del tutto assuefatti alla rigidità della logica aristotelica e ai dogmi che ci circondano, si stupiscono certo del nostro stupore.
Le ottantaquattro prose brevi, brevissime, contenute in questa nuova edizione Quodlibet, mostrano bene i molteplici livelli in cui si sviluppa la vis comica malerbiana.
Alla base c’è un senso di disagio verso la realtà, come più volte ha dichiarato lo scrittore.

Un mondo contraddittorio e caotico fatto oggetto di dubbi che giungono a mettere in discussione la sua stessa esistenza. Mettere ordine nel caos: questo è l’imperativo all’origine della narrativa di Malerba. Naturalmente lo si nota con più facilità nei testi di più ampio respiro, ma è avvertibile anche qui: Marione «aveva deciso […] che bisognava mettere in ordine il mondo». Bisogna però fare i conti col linguaggio, con la parola che non sa più aderire alle apparenze della realtà. La lingua mostra la corda, palesa limiti intrinseci: ha perso la sua capacità comunicativa, logorata com’è dall’uso intensivo che ne fanno i mass media e costretta a scontrarsi, appunto, con un ambiente complesso, pieno di antinomie e sillogismi fallaci. Inoltre, la psiche dei personaggi è spesso traballante, paranoica a dismisura.
Si tratta dunque di riscoprire e di reinventare la realtà (la scrittura si fa realtà; la letteratura non descrive il mondo: diviene mondo), di snidarla e crearla al contempo. Per far questo, per gettare cariche esplosive che aprano squarci di pensiero non conforme è necessario ricorrere a tutto l’armamentario di un bombarolo della parola quale è Malerba: paralogismi, giochi di parole, neologismi e iniezioni di relativismo contro il senso comune. Le galline della storietta intitolata Le cose da mangiare, per dire, dapprima guardano l’universo da una prospettiva “gallinocentrica”, proprio come fossero umani qualunque. Osservano il giardino zoologico meravigliandosi per l’assenza dei vermi. Mah, forse non sono proprio animali, in fondo sono solo cose da mangiare, pensano. Poi, però, interviene il colpo di genio dello stupido (o meglio, del finto stupido: le galline sono intelligentissime) e si accorgono che neppure la loro specie ha suoi rappresentanti in quel giardino. Il resto tristemente ne consegue.
Una delle bombe più distruttive, per restare all’interno della metafora, è costituita da ciò che Muzzioli chiama «la materialità dell’immaginazione», cioè la tendenza di realtà mentali e astratte ad acquisire un corpo, a diventare tangibili. E viceversa. Leggiamo così di un ex fantino zoppo che sale in groppa alla sua ombra e galoppa via felice, di Ugone che perde la «r» per colpa di una ventata improvvisa e persino di un complotto messo in atto dalle parole, veri e propri organismi verbali che decidono di spianare la strada al termine «guerra». E che dire di quel piccolo capolavoro che racconta di come i turisti consumino coi loro sguardi il panorama di Roma?
I piani del mentale e del materiale, come detto, si incrociano; e lo stesso succede con i sogni e la realtà (Sandrone esige una paga doppia perché sogna di lavorare anche di notte) e con il senso della vista e dell’udito (Papirone fa sculture raffiguranti rumori).
Nella fantasmagoria ludica delle narrazioni non va perso neppure il sorriso beffardo indirizzato alla nostra società. Si veda Le sardine in scatola. Dietro il tragitto di una scatola di sardine si scorge la natura illusoria e ingannatrice del mercato.
Dopo la consapevolezza del disordine, il tentativo di dargli un senso con deflagrazioni comiche gustosissime, resta il risus purus di chi ride amaramente sulla tragedia dell’esistenza. Persino in un libro giocoso come questo non sono del tutto assenti toni assai cupi. Si pensi alla solitudine infinita di Ricò che guarda il cielo indossando gli occhiali e vede una Luna soltanto, lui abituato da sempre a vederne due per un difetto visivo col quale aveva convissuto sino ad allora senza alcun problema. La comicità malerbiana non è mai comicità pura. È tragedia offerta in forme divertenti, è un combattimento con l’indecifrabile e una resa col sorriso sulle labbra.
C’è dentro la forza di chi affronta il caos e l’umiltà di chi riconosce che è un compito al di sopra delle umane possibilità, ma non per questo si arrende. Insiste, e così si guadagna meritatamente un posto di riguardo nella storia della letteratura.