Recensioni / Racconti dal bosco: Gilles Clément

Per la serie dei “Racconti dal Bosco”, è la volta di Gilles Clément, architetto del paesaggio, entomologo, scrittore, paesaggista tra i più noti e influenti d’Europa: “L’uomo non è che un camminatore del paesaggio, la vita è ovunque”

«Il faut tenter de vivre». Nel Cimitero marino Paul Valéry, uno dei più grandi poeti del Novecento, scriveva che bisogna tentare di vivere. Per Gilles Clément, architetto del paesaggio, entomologo, scrittore, paesaggista tra i più noti e influenti d’Europa, il concetto va esteso. Bisogna far vivere. Poiché l’uomo non è che un camminatore del paesaggio, la vita è ovunque.

Lasciare che le cose mutino, allora, si accrescano secondo la loro essenza, immutabile ragione delle cose, la Natura. In una parola, il selvatico.
 
  È il “terzo paesaggio” di Clément (dall’omonimo Manifesto per il terzo paesaggio, QuodLibet) che definisce i luoghi abbandonati che, proprio per questo, diventano fondamentali per la conservazione della diversità biologica. Un concetto che ribalta l’idea dello spopolamento – l’Appennino, le campagne, i monti – perché lo inserisce nel più ampio dibattito della collocazione della vita umana, l’habitat, la relazione con il pianeta Terra. L’Universo raccolto in un pugno di terra: «La foresta della mia infanzia è quella che ho visto crescere dopo l’abbandono dei pascoli sulle sponde della Creuse (il fiume da cui prende il nome l’omonimo dipartimento ndr)» – racconta l’autore di Nuvole e dell’Elogio delle vagabonde (entrambi usciti per i tipi di DeriveApprodi): «Il paesaggio si è trasformato passando dalle brughiere fino a divenire un vero e proprio bosco. Ma mi sono abituato a questa foresta, allo stesso tempo recente e naturale che comprende ventisette specie di alberi – lett. «legnosi» – se consideriamo anche gli arbusti che accoglie al suo interno. In linea di massima è un ambiente salvaguardato perché le sponde della Creuse sono considerate luogo protetto in questa regione».

  Per Clément, attraverso le storie l’uomo esorcizza l’ignoto. Il racconto del quotidiano come biologia, trasformazione, mitopoiesi: «Quand’ero piccolo si parlava ancora del lupo, ma non ci faceva paura perché sapevamo che era sparito. Tuttavia ogni volta che si sentiva un allocco ululare nella foresta, immediatamente si diceva che portava sfortuna e che bisognava ucciderlo e inchiodarlo sulla porta del fienile. A me però quel verso non faceva paura in alcun modo. Al contrario, mi sembrava che l’allocco ci dicesse buonasera o buonanotte, e ci proteggesse. Ancora oggi questo canto nella notte mi colpisce».
 
  Boschi bui, intricate selve. I luoghi privi di attività umana spaventano. Ma l’uomo è il giardiniere planetario: «Per me la foresta è una situazione di equilibrio, lo stadio finale di sviluppo (dal significato di climax in ecologia ndr) l’optimum che la vegetazione possa prendere. Condizione di equilibrio pur sempre temporanea, poiché una tempesta può sradicarla, ma la foresta sa rigenerarsi da sola. Dal mio punto di vista, in qualità di paesaggista, essa rappresenta allo stesso tempo una zona d’ombra e una riserva di differenti piante sciafile (che amano l’ombra ndr). Ospita al suo interno degli animali, è un ecosistema generoso. Allo stesso tempo è una riserva silenziosa. Le diverse piante eliofile (che amano il sole ndr) sono scomparse dalle foreste, ma si tratta solo di un’impressione, in realtà questa diversità riposa sotto forma di semi nella terra, che attendono la luce per spuntare». C’è speranza, ci dice Clément, sotto di noi e neppure ce ne accorgiamo.

  Come Huysmans, Proust, Valéry, prima di lui, Gilles Clément sa che la Terra è un solo indiviso essere vivente: «Ho pensato spesso che costruire una casa su un albero fosse una buona idea. Il giardino sarebbe la volta degli alberi. Costruiremmo dei sentieri sospesi. Non servirebbe nient’altro». I sogni frutti da cogliere al giardino delle nuvole. 

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