Recensioni / Camicie brune in un corpo

Il saggio del 1934 di Emmanuel Lévinas sulla filosofia dell’Hitlerismo.

L’avvento del nazismo è recente quando, nel 1934, il filosofo Emmanuel Lévinas scrive il breve saggio Quelques réflexioas sur la philosophie de l’hitlerisme. Apparse una prima volta sulla rivista «Esprit» e finalmente tradotte in italiano - con un’introduzione di Giorgio Agamben e un’ampia postfazione di Miguel Abensour -, queste «riflessioni» si compendiano in un saggio breve ma molto denso. Il ragionamento che Lévinas vi conduce si articola in senso eminentemente teorico: in nessun modo, infatti, il saggio abbozza una descrizione dei fatti che segnano la presa del potere da parte di Hitler e la sua temibile, vorticosa ascesa; esso si concentra piuttosto - ed esclusivamente - sui presupposti filosofici che presiedono al fenomeno nazista e che drammaticamente lo orientano. La priorità accordata alla riflessione filosofica non sminuisce comunque in alcun modo il valore storiografico di questo scritto: fatta esclusione per l’articolo di Bataille Lo structure psychologique du foscisme, anch'esso apparso nel 1934, il testo di Lévinas rappresenta, quantomeno in ambito francese, uno sforzo isolato di discussione della storia
politica del momento.
Ad essere messa in causa (...) è l'umanita stessa dell'uomo»: con queste parole si conclude uno scritto che colpisce per la limpidezza e il rigore coi quali è stato pensato. Prima di formulare la sua drammatica condanna, Lévinas ha infatti percorso le linee teoriche fondamentali dell'ideologia nazista: ha osservato come le «potenze primordiali» che in essa sono contenute destino «la nostalgia segreta dell'animo tedesco»; ha ricostruito lo sviluppo filosofico del mondo occidentale, letto alla luce della «irreparabilità» che contraddistinque il tempo storico, determinando la fondamentale «inamovibilità di un passato incancellabile», ha mostrato come alla base dell'enfasi che il nazismo pone sul corpo («il biologico, con tutta la fatalità che comporta») ci sia un'idea dell’esistenza umana pensata non più come libertà, ma come «incatenamento» (être rivé), come allora l’essere se stessi coincida con l’accettazione di tale incatenamento, e come di qui derivino da un lato la necessità di pensare la società non come unità di spiriti ma di corgi - come razza, come consanguineità -, dall'altro il tragico recupero- di una volontà di potenza nietzschiana intesa non più come solo ideale, ma come «ideale che apporta nello stesso tempo la sua forma propria di universalizzazione: la guerra, la conquista».
La lucidità di queste considerazioni viene connessa; da Agamben così come da Abensour, all'influenza del pensiero di Heidegger. È indubbio che: l’assidua frequentazione dei corsi universitari del grande filosofo tedesco (a Friburgo, a partite dal semestre 1928-'29) , comporta una svolta fondamentale per il giovane Lévinas. Ed è certamente nella fenomenologia di Husserl e Heidegger che egli trova la principale chiave di lettura filosofica dell'hitlerismo: 1'idea dell etre riue, di una corporeità cui 1'uomo nazista si trova inevitabilmente legato, scaturisce in modo evidente dalla riflessione heideggeriana circa l’analitica dell'Esserci» - in quanto ontologia che conduce necessariamente a considerare la fattività;, le diverse manifestazioni dell'essere. Tuttavia, sorprende come nessuno dei due saggi che accompagnano queste Riflessioni sull'hitlerismo metta in evidenza sino a che punto «il presentimento e il ricordo dell'orrore nazista» (sono parole dello stesso Lévinas, riportate nel risvolto di copertina) abbiano dominato 1'intera biografia dell'autore, ebreo di origine lituana che ha intrattenuto nel corso di tutta la vita un dialogo incessante col Talmud e la scrittura biblica –e con l’esperienza non solo religiosa, ma drammaticamente umana, dell'ebraismo.
Non si può non tenere conto di questa particolare convergenza tra riflessione filosofica e personale coinvolgimento emotivo, e di quanto essa abbia significato, per Lévinas, una drastica presa di distanza dallo Heidegger autore de L'autoaffermazione dell'Università tedesca - il discorso del rettorato del 1933 in cui il maestro di Friburgo mostrava in modo indubitabile i suoi rapporti con il nazismo di Hitler, quei rapporti che lo stesso Lévinas confesserà (nella conversazione con Francois Poirié del 1987) di non essere mai riuscito a dimenticare. E allora, pare lacuna a dir poco grave l’avere intrapreso una lettura del testo del '34 in chiave fondamentalmente heideggeriana, se pure in senso problematico (Abensour), o l'avere interpretato (Agamben) la riflessione di Lévinas solo come sforzo di «affrontare una volta per tulle la nostra imbarazzante prossimità col nazismo». Utilizzando le linee teoriche fondamentali del suo recente saggio Homo sacer (Einaudi, 1995), Agamben rinviene nelle Riflessioni sull'hitlerismo quella rottura rispetto alle tradizionali Categorie politiche (la distinzione tra diritto e fatto, tra essenza ed esistenza) che a suo avviso costituisce la grande novità –e modernità- della politica occidentale.
L'idea dell'«incatenamento» al corpo, attorno al quale Lévinas aveva costruito il suo breve saggio sul nazismo, può si, come fa Agamben, essere letta come testimonianza dell'utilizzo del nuovo modello. biopolitico della «nuda vita» (dove l’essere biologico e quello politico coincidono, poiché l’essere non è altro che i modi della propria esistenza) ; ma si tratta di una analisi manchevole .e insufficiente, nel momento in cui essa non tiene conto delle implicazioni storiche e psicologiche che presiedono alla presa di posizione di Lévinas.
Insieme alla prefazione del 1990, scritta dal filosofo in occasione della traduzione inglese del testo delle Riflessioni, sarebbe stato doveroso pubblicare le poche pagine che nel 1988, in occasione dell'uscita del libro di Victor Farias su ‘Heidegger e il nazismo, egli scrisse per il settimanale francese «Le Nouvel Observateun. In esse si trova il ricordo dello sgomento che il giovane allievo provò di fronte al totale disinteresse di Heidegger per le sorti dei suoi molti amici ebrei; lo sgomento di fronte a quello che più tardi sarà il suo silenzio sulla «soluzione finale» («un silenzio, in tempo di pace, sulle camere a gas e la morte nei campi ; che oltrapassa il dominio delle deboli scuse, rivelando un'anima totalmente priva di sensibilità, nella quale si può percepire una sorta di consenso all'orrore»). Come a suo tempo Farias ha mostrato nel, suo saggio su Heidegger, una analisi della riflessione filosofica sul nazismo non può non tener conto dell'atteggiamento umano mantenuto nei confronti dello sterminio.

Emmanel Lévinas, Alcune riflessioni sulla filosofia dell’hitlerismo, Quodlibet, p. 96, Lire 18.000