Recensioni / Dialettica e speranza. Sulla poesia di Franco Fortini

Accade non di rado che in occasione di ricorrenze come anniversari della nascita o della morte di un autore si celebri la sua figura elogiandone i tratti di superficie, smussandone cioè i volumi più irregolari, per consegnare al pubblico un ritratto monolitico simile a certi dagherrotipi di metà Ottocento o a marmi nelle grandi gallerie dei musei. Se poi la società di cui il suddetto autore scrive non esiste più, ci si affretta a costruire per lui un monumento statuario – che nel caso di Fortini andrebbe cercato non nelle sale del museo, ma nei depositi, imballato in una cassa di legno in attesa di un’esposizione temporanea –, col risultato di negare continuità al discorso, consegnando di fatto al presente una figura statica, discontinua, pacificata.
Un esempio di questo atteggiamento lo indicava lo stesso Fortini quando, invitato a Parigi per un convegno in onore di Pasolini, ricordava un episodio editoriale avvenuto tre o quattro anni prima: l’esclusione, nella traduzione francese di un volume dedicato alla memoria dello scrittore scomparso, di un suo saggio sul tema della corruzione nella vita e nell’opera del poeta; saggio che, all’insaputa dell’autore, veniva pubblicato soltanto dopo, in un numero di «Cahiers du cinéma». In quell’autunno del 1984, Fortini si rivolgeva al pubblico del convegno precisando: «Quell’episodio non l’avrei ricordato ora, non mi sembrasse testimoniare dell’atteggiamento di pia devozione che molto a lungo ha accompagnato (e, direi, più in Francia che in Italia) un culto politico-erotico o marx-mortuario di Pasolini. Certo, una delle ragioni della mia presenza fra voi è nell’augurio che a tali atti di culto, in seminari come questo cui sto partecipando, si sostituisca una lettura critica». A cento anni dalla nascita del poeta, il volume di Francesco Diaco testimonia quell’operazione di «lettura critica» che Fortini auspicava di fronte all’uditorio di Parigi.
Uscito di recente per l’editore Quodlibet, Dialettica e speranza si presenta infatti come un’analisi sistematica dell’intera opera in versi fortiniana. Il saggio è preceduto da una cospicua introduzione che, nell’architettura generale del volume, si configura come uno spazio autonomo di riflessione, dov’è possibile leggere, rispetto al procedere diacronico dei sei capitoli successivi, «una descrizione tipologica e sincronica delle tensioni che innervano l’intera produzione autoriale» (p. 13). Tali tensioni, che scuotono il ritratto granitico di Fortini così come presentato dalla vulgata ufficiale, finiscono per essere sintetizzate nella coppia di termini del titolo, estrapolato da una citazione di Renato Solmi posta in epigrafe al saggio («Al nesso di dialettica e certezza [...] tende a sostituirsi quello, più fragile e problematico, di dialettica e speranza»). Il binomio dialettica-speranza condenserebbe dunque, secondo l’autore, l’intero percorso di Fortini, la sua appartenenza a un «classicismo lirico moderno», per utilizzare le parole di Mazzoni, caratterizzato da una scrittura tesa tra il passato e l’avvenire.
Il reticolo prospettico di Diaco ha come elemento normativo il ricorso alla categoria di tempo, impiegata come paradigma ermeneutico per guardare all’intera opera in versi di Fortini. È lo stesso autore a dichiararlo nell’introduzione, dove si legge l’intenzione di applicare allo studio delle raccolte fortiniane un procedimento già utilizzato da Scaffai per analizzare la poesia di Montale: intendere il tempo come «fattore che incide sulla struttura di una singola poesia o di una serie di testi» (p. 11). È infatti a partire da una precisa concezione della storia che muove, secondo Diaco, la scrittura poetica di Fortini, in vista di una società ideale che, nel cammino che porta alla possibile realizzazione, incontra antitesi e negazioni, rifiuti e fallimenti. Adottando questa strategia interpretativa, Diaco pone il lettore di fronte allo sfaldarsi della figura monolitica di partenza, invitandolo, al contrario, a prendere coscienza di un ventaglio di sfumature che permettono di cogliere, nella scrittura di Fortini, un’oscillazione tra i poli della tragedia e della politica.
Il grande merito del saggio di Diaco è di fornire una mappa dettagliata dell’universo poetico fortiniano, indispensabile al lettore per orientarsi all’interno di una scrittura complessa, fortemente condizionata dagli eventi circostanti e dal rapporto con gli interlocutori. Dialettica e speranza non solo viene dunque a inserirsi tra quei preziosi volumi preliminari che permettono di organizzare lo studio dell’opera del poeta, ma consente, a chi ha già affrontato la sterminata produzione saggistica e poetica di Fortini, di aggiungere elementi inediti, conservati presso l’Archivio Franco Fortini di Siena, di cui Diaco è abile conoscitore; elementi questi, che inseriti tra gli interstizi della scrittura saggistica e poetica, permettono di restituire una visione più completa dell’intera opera fortiniana.
Prima di affrontare nel dettaglio la lettura delle sei raccolte poetiche, Diaco individua nell’introduzione una legge da porre a fondamento dell’intera trattazione, un assioma generale per intendere i mutamenti e gli errori della scrittura di Fortini. Tenendo conto, come si è detto, dell’inestricabile corrispondenza tra biografia e storia, sarebbe possibile affermare, secondo l’autore, che «l’estensione temporale della prospettiva fortiniana è inversamente proporzionale alla presenza di possibilità rivoluzionarie. Lo sguardo si allunga e si distacca dall’oggi quando il presente appare chiuso e congelato; lo sguardo si accorcia e si accosta all’oggi quando il presente lascia scorgere spiragli per l’azione» (p. 29). Tale procedimento permette di affidare la figura del poeta a un movimento dialettico e continuo, seppur contraddittorio. E infatti, solo dopo aver interrogato e assorbito il momento negativo, è possibile per Fortini sperimentare un nuovo spazio metrico che costituisce l’attacco di un momento successivo della scrittura in versi, nella sua instancabile propensione al mutamento e alla coscienza dell’errore. Contro una narrativa ormai da tempo consolidata, sarebbe così possibile valutare le opere di Fortini non già come una parabola discendente, «come un’anticlimax inarrestabile», ma come «movimento alternato di avvicinamento e di allontanamento a seconda della situazione extratestuale» (p. 29).
Il movimento a cui si accenna nel saggio non è tuttavia quello verticale del mistico, dell’iniziato; e neppure il moto impazzito del soggetto “senza io”. Il movimento a cui Fortini accorda la sua biografia (da non confondere con “biografiamo”) al mondo è il procedere del soggetto nella storia, il suo riflettersi nella trasformazione della società. È il movimento dialettico della realtà, che a partire dalla presa in carico dei destini generali, dell’esistere insieme, innesca un processo di conoscenza dell’individuo.
Guardando a distanza l’intera opera in versi di Fortini, Diaco individua tre macro-aree temporali, senza tuttavia tralasciare, nella successiva analisi delle singola raccolte, gli scarti di ciascun momento del discorso rispetto all’altro che segue: in una prima “fase della giovinezza”, si collocano le raccolte più direttamente politiche e attive, ovvero Foglio di ma e Poesia e errore, caratterizzate da una scrittura «più disomogenea e oratoria»; in quella che viene definita la “fase della maturità”, che raccoglie i testi di Una volta per sempre e Questo muro, si manifesta l’influenza di Brecht, attraverso il quale Fortini «trova e affina la propria pronuncia più alta e riconoscibile»; infine, nella “fase della vecchiaia”, rientrano naturalmente Paesaggio con serpente e Composita solvantur, dove si registra, con le dovute differenze, un apparente abbassamento della «politicità esplicita e l’approdo a una dizione sì più riposata, ma anche obliqua e manieristica, in quanto straniata dal ricorso a maschere e falsetti» (p. 71).
Procedendo nella lettura dei sei capitoli, ciascuno corrispondente all’analisi di una raccolta del poeta, Diaco accompagna il lettore nel movimento della parola fortiniana, creando una mappa di connessioni tra scrittura poetica – che conserva e lascia aperto il momento negativo, con un’intensità variabile a seconda degli anni, degli eventi e dunque delle raccolte – e linearità saggistica – raziocinante – che balza impazientemente verso la sintesi.
Sarebbe possibile individuare, all’interno di ogni capitolo, un’ulteriore divisione: alla lettura particolare della raccolta, condotta analizzando i testi più significativi che intrecciano in maniera trasversale la scrittura saggistica e i modelli di riferimento dedotti dall’opera di traduzione, Diaco fa seguire una parte conclusiva che assurge alla funzione di bilancio – procedimento anch’esso tipicamente fortiniano –, in cui è possibile tirare le somme del percorso e individuare gli errori che preparano al momento successivo.
La struttura del saggio riflette dunque una specifica idea di tempo e di storia, che non ammette salti o momenti di stasi contemplativa, ma considera il discorso nella sua continuità tra memoria e futuro; tale è in definitiva il meccanismo che muove l’intera produzione in versi di Fortini, la cui scrittura non rimuove mai il punto più remoto del passato e tenta di risolverlo, o di innescarlo nuovamente, nel presente. Quel movimento di dialettica e speranza è condensato, ad esempio, nell’ultimo componimento di Composita solvantur precedente all’Appendice di light verses e imitazioni. Il testo riprende la poesia liminare di Foglio di via senza la circolarità di un eterno ritorno, ma tratteggiando, al contrario, una linea retta, che si stacca ancora una volta dalla circonferenza per procedere verso un avvenire possibile: «Rivolgo col bastone le foglie dei viali. \ Quei due ragazzi mesti scalciano una bottiglia. \ Proteggete le nostre verità».
Recuperare la complessità della figura diventa dunque un’operazione etica che nulla ha a che vedere col lavoro specialistico. Sta in questa apparente semplicità della lettura il valore di Dialettica e speranza, che ha come armatura i testi stessi, chiamati a testimonianza di un «dialogo ininterrotto». Il senso di tutto il volume è in definitiva quello di sottrarre quei testi alle biblioteche – dove sopravvivono la maggior parte delle opere di Fortini, fuori commercio ormai da tempo –, e appropriarsene, per restituirli a un pubblico nuovo e a una nuova realtà. Poiché, come Fortini dichiarava a proposito di Montale, la poesia appartiene all’autore «solo per le bibliografie e per le antologie scolastiche. Essa è nostra, è dei suoi lettori. Ne siamo responsabili noi; e le sue determinazioni ideologiche e di classe, dunque anche gli errori intellettuali di cui si nutre, vanno guardati senza rispetti umani, per il bene che dovremmo portare a noi stessi». Un modo, anche questo, di proteggere quelle verità che nel presente sopravvivono agli errori.