Recensioni / “Un anno di scuola”, affresco degli anni più belli, quando la spensieratezza si incontra con le prime prove dell’età adulta

Ce lo offre Giani Stuparich, ora riproposto da Quodlibet in un’edizione molto ben curata

Trieste, 1909. Una classe di venti allievi maschi, un’allegra compagnia di bricconi che raccoglie al suo interno, come ogni classe poi, tutte le mille sfaccettature dell’animo umano, dei caratteri e delle passioni, comincia l’ottavo e ultimo anno di ginnasio, l’ultima tappa prima della maturità. Ad attenderli però, nei corridoi monumentali del liceo classico Dante Alighieri, una sorpresa destinata a cambiare per sempre equilibri e stili di vita: Edda Marty, una ragazza viennese, ha infatti superato il concorso d’ammissione ed entra, prima donna a riuscire nell’impresa, in un liceo esclusivamente maschile, passaggio obbligato per chiunque voglia accedere all’università. Sola femmina tra venti maschi Edda non può non attrarre da subito le attenzioni dei compagni di classe, divenendo insieme amica e oggetto del desiderio, motivo di tanti litigi, di tante rivalità, di tante amicizie che durano da almeno un decennio e che adesso si incrinano paurosamente fin quasi a spezzarsi. Ogni allievo, ciascuno a suo modo, la ama, dall’esuberante Mitis, che pure la schernisce con battute oscene, nascondendo la sua passione dietro un apparente disgusto, al mite Pasini, che non trova il coraggio di dichiararsi, di “gettare la maschera”, all’impassibile Momi, sempre zitto, ma tanto pieno d’amore da scoppiarne. Sarà Antero, giovane malinconico e solitario, a intrecciare con Edda una relazione violenta ma breve, una passione giovanile infuocata e tremenda, che mescola esaltazione e paura, euforia e angoscia, sfidando la morte e il confine invisibile che separa la gioia dal dolore.
Con Un anno di scuola, opera pubblicata per la prima volta nel 1929 (anche grazie agli uffici di Eugenio Montale) e adesso riproposta da Quodlibet in un’edizione molto ben curata, Giani Stuparich, forse l’ultima grande voce del Novecento triestino, consegna al lettore un affresco degli anni più belli della vita, quando la spensieratezza, la voglia di viveri leggeri, si incontra con le prime turbe, le prime prove, siano della mente o del cuore, le prime battaglie che aprono all’età adulta.
Assoluta protagonista è Edda Marty, una bellezza insieme tenera e decisa, acuta e appassionata, una figura che si troverebbe a suo agio in tante pagine del romanzo mitteleuropeo, che porta non a caso il nome di una celebre eroina di Ibsen, quell’Hedda Gabler ambiziosa e insofferente di ogni limite che fa il paio con l’imprescindibile Nora di Casa di bambola. Edda è così, coraggiosa, sicura dei suoi mezzi, una donna che si ribella con forza, spesso con l’ arma della provocazione, a un’ideologia provinciale e perbenista, arretrata e ottusa; a cominciare dal rapporto tra i sessi, un rapporto che Edda vorrebbe sperimentare alla pari, con un senso profondo di cameratismo, di condivisione, finendo invece sempre relegata nella parte di conquista, di preda per cui si litiga, di innamorata per cui commettere pazzie; a cominciare dal suo ruolo nel mondo, un ruolo che Edda vuole costruirsi in totale autonomia, senza condizionamenti, sperimentando sulla propria pelle, senza filtri, senza intermezzi, ogni successo e ogni sconfitta. Un anno di scuola è un romanzo breve ma tanto intenso da togliere il fiato. Intenso perché penetra con precisione le zone d’ombra del sentimento, dell’amore, perché analizza, attraverso una vicenda esemplare, le vicissitudini di ognuno di noi, di ognuno di noi da giovane, perché riesce nel difficilissimo compito di dare forma, spesso con poche parole appena, a personaggi che sembrano di carne, tanto veri che il lettore si illude di averli incontrati per davvero, forse in sogno, forse nella vita reale.