Bastarono dieci pagine dieci, al giovane Emmanuel Lévinas, per tracciare una straordinaria disamina del fenomeno sociale più orribile del Novecento: il nazismo.
Preceduto da una introduzione di Giorgio Agamben, e seguito da un saggio di Miguel Abensour, questo folgorante scritto del filosofo ebreo esce ora in italiano per merito della casa editrice Quodlibet, Alcune riflessioni sulla filosofia dell'Hitlerismo (pagg. 89, lire 18.000). E tra i tanti motivi di ammirazione verso questo inestimabile cristallo di pensiero, c’è anche la rapidità «giornalistica» con cui venne steso: siamo appena nel 1934, dunque a un solo anno dall'ascesa di Hitler.
La strada scelta da Lévinas lascia da parte qualunque approccio politologico canonico. Ben più che un contagio o una follia, l’hitlerismo gli appare come «un risveglio di sentimenti elementari». E dunque soltanto l’occhio del fenomenologo può cercare di aggredire questo spaventoso accadimento.
Tutto il pensiero filosofico e politico dei tempi moderni, attacca Lévinas, «tende a elevare lo spirito umano a un livello superiore alla realtà, scavando un abisso tra 1’uomo e il mondo ». Lo spirito, insomma, .non ha nulla da spartire con la brutalità e 1’ implacabilità dell'esistenza concreta. Per 1'universo giudaico-cristiano questa liberazione avviene attraverso la grazia, per il liberalismo attraverso la ragione; ma il leit-motiv è il medesimo. E anche il marxismo, che pure per la prima volta contesta questa concezione dell'uomo riportando al centro dell'attenzione i bisogni materiali, non opera in tal senso una rottura definitiva, erede com’è della tradizione giacobina.
L'hitlerismo, al contrario, ribalta in toto i termini della questione: proprio il sentimento del corpo, infatti, è alla base della sua nuova concezione dell' uomo. «Il biologico, con tutta la fatalità che comporta, diventa ben più che un oggetto della vita spirituale, ne.diviene il cuore. La voce misteriosa del sangue, gli appelli all'eredità del passato di cui il corpo è l’enigmatico portatore, perdono la loro natura di problemi sottoposti alla soluzione di un Io sovranamente libero».
In tal modo, non soltanto lo spirito perde la sua superiorità sul corpo, ma ne rimane asservito. L'essenza dell'uomo, pertanto, non risiede più nell'esercizio della libertà, ma nel riconoscimento dell'ineluttabile incatenamento alla fisicità. Ne consegue che tutte le forme di società moderne fondate sull'accordo di libere volontà, non soltanto appariranno fragili e inconsistenti, ma anche false e menzognere. La verità è ancorata alla carne, alla società fondata su base consanguinea