Recensioni / Storia e romanzo

Viktor Sklovskij è, nell’immaginario collettivo, l’autore di Teoria della prosa, che contiene L’arte come procedimento, saggio-manifesto della scuola formalista russa, in cui l’autore anatomizzava opere di grandi autori alla ricerca di una forma comune che potesse portare ad etichettarli come arte. Ecco perché questo Marco Polo, edito da Quodlibet e arricchito da una nota di Giovanni Maccari, contribuirà ad arricchire la visione del critico russo che qui si dedica alla riscrittura de Il milione di Marco Polo, all’interno di una sperimentazione con le forme narrative (biografie, sceneggiature e racconti eruditi) sempre praticata, seppur assai meno famosa. Sklovskij in Marco Polo descrive i popoli che si incontravano nel passato in Asia, raccontando le loro usanze, i loro cibi, le loro religioni e le loro guerre, muovendosi tra l’altopiano del Pamir e le città della grande Cina di Kubilay Khan, in un gioco delle parti tra Oriente e Occidente che culmina nella la descrizione di un russo della città di Venezia. Particolarmente belle, le pagine dedicate alla Russia nel breve capitolo intitolato Del paese delle pellicce, che noi chiamiamo Siberia, e del paese detto Russia («Esiste un paese dove la neve non fonde mai e dove gli uomini si fanno trainare dai cani. Si dice che il freddo sia così intenso, che il sole non si decide a far capolino in cielo a causa del gelo, e c’è un buco nella terra da cui soffiano i venti»), oppure quelle dove Sklovskij descrive il mare e le coste dell’India («Nel cielo erano stelle sconosciute, dopo Giava scomparve la Stella Polare, e non si rivide fino al Capo Comorin. Pesci sconosciuti venivano a galla dal mare. Il mare aveva un odore ignoto, ma anche odore di commercio, un odore di città ricca sulla riva cinese»). Questo libro uscì per la prima volta in Russia nel 1931 e venne via via ristampato in Unione Sovietica come libro di avventure per ragazzi. Ma il Marco Polo di Sklovskij non è opera facile, ricco di divagazioni colte e di commenti eruditi, e costruito su una narrazione semplice e poco suggestiva che ricorda la trattatistica di viaggio dei secoli scorsi. Eppure il libro nasce da un’esigenza concreta, ovvero quella di fronteggiare gli obblighi al silenzio dell’Unione Sovietica: ecco che qui allora, attraverso i viaggi in terre inesplorate di Marco Polo, Sklovskij ritrova quel desiderio di vedere il mondo con occhi nuovi e puri, come nelle opere dei suoi Tolstoj o Ejzenstein.