Erbe selvatiche, Lu Xun, Quodlibet
“Scrittura sparsa” (in cinese: sanwen) quella di Erbe selvatiche (a cura di Edoarda Masi, Qhodlibet, pp. 77, euro 11,00) in cui incerto è il confine tra poesia e prosa. Brevi saggi talvolta in forma di sogno, altre volte come storie, e altre ancora in amorosi versi. Pagine in cui il confine tra dentro e fuori non ha motivo di essere, o forse volutamente manca, o più semplicemente soltanto non è. Nessun dentro, nessun fuori, soltanto una sequenza di parole che non seguono altra etica che quella del dire quel che si vede. Un modo di scrivere quello di Lu Xun (Zhou Shuren, 1881-1936) che spiazza lì dove inserito in uno specifico contesto: la Cina degli anni Venti.
E’ a quel tempo che Lu Xun scrive le sue storie, infrangendo la regola cinese che vuole la scrittura così erudita e alta da essere inaccessibile ai molti. Lu Xun alla regola si ribella, e preferisce scrivere come i molti, inventando così il cinese moderno. E non a caso si trova tra le sue Erbe selvatiche una dissacrante imitazione dei versi del poeta Zhang Heng. “Su un antico modello nuovi versi in lingua parlata” scrive Lu Xun a monte della sua Il mio amore perduto, e poi comincia per amorosi versi a decantare, divertito e straziato, il suo mancato amore destinato a chiudersi con un quanto mai poetico/patetico: “Da allora volta il viso e non mi bada,/ Non capisco perché – che vada al diavolo”.
Ben più triste e altrettanto poetico Il commiato dell’ombra, gentile lamento di una graziosa e disperata ombra che cerca in tutti i modi di dire addio all’amato amico perché stanca di una vita inevitabilmente sospesa tra luce e tenebra, perché all’eterno errare preferirebbe un altrettanto eterno e solitario affondare nel buio. Vorrebbe il buio e il vuoto da lasciare all’amato al posto suo, incapace di gestire un destino da ombra. Vorrebbe, eppure – come in ogni storia d’amore puro – non ci riesce mai, limitandosi così a un commiato che accade solo nel sonno e che di credibile ha in sé soltanto il dolore di chi va “errando fra luce e tenebra, senza sapere se è il crepuscolo o l’alba”.