Recensioni / Se la società impone “A che ora si mangia”

La centralità e l’attualità del cibo oggi sono attestate anche a livello letterario da alcuni studi che si traducono in veri e propri divertissement per chi li scrive e per chi li legge. Parliamo dell’ultimo piccolo pamphlet di Alessandro Barbero (ordinario di Storia medioevale all’Upo di Vercelli) che, sotto il titolo «A che ora si mangia? - Approssimazioni linguistiche sull’orario dei pasti (secoli XVIII-XXI)», racconta di come gli orari dei pasti siano una costruzione culturale e rivelino l’appartenenza a una classe sociale piuttosto che ad un’altra. Si tratta, in pratica, di uno spaccato sulle abitudini a tavola e su come queste si siano modificate nel corso della storia, definendo ceti e abitudini di tutta Europa.
Fu l’aristocrazia a Londra e a Parigi, tra la fine del ’700 e i primi anni dell’800 – spiega l’autore – a modificare gli orari dei pasti quotidiani. Il pranzo, ritenuto a quel tempo il pasto principale del giorno, veniva consumato sempre più tardi, a volte addirittura alle sette del pomeriggio; di contro, a metà mattina si faceva una robusta colazione, detta déjeuner à la forchette. La cena? Non se ne faceva più menzione. La disdegnava il filosofo Kant; la riduceva a due o tre cioccolatini con un bicchier di vino annacquato il commediografo Carlo Goldoni. Quella moda, nel corso dell’Ottocento, dilagò in Germania, Italia, Russia e Stati Uniti. Un fenomeno interessante sia per lo storico che per il linguista, che ha dato origine alle diverse designazioni dei pasti ancora oggi oggetto di studio.
La ricerca si avvale di testimonianze e aneddoti divertenti che rendono il pamplhet godibile e colto in perfetto Barbero style.

Recensioni correlate