“La prima cosa a cui penso, appena sveglio, è il mio male. In ogni istante del giorno, in ogni vampa di coscienza, non c’è altro che il mio male”. Giovanni Cenacchi si è messo a nudo. Ha combattuto col cancro per tre anni, fino al 2006, ma non ce l’ha fatta. Ci ha lasciato Cammino tra le ombre, un taccuino di viaggio più che un diario. Un viaggio nell’anima di un uomo alle prese con una malattia che non gli lascia illusioni, ma molte domande. Un testo idealmente lasciato all’amatissima Viola, la figlia di pochi anni che guarda sgambettare felice e ignara mentre affronta la solitudine del male. Costruito in gran parte come una raccolta di aforismi, il libro che esce ora per Quodlibet è soprattutto un dialogo sofferto con Dio, nel tentativo di trovare un perché. Un dialogo che muta nel corso dei tre armi, mentre Giovanni battaglia col suo corpo. L’inizio è duro: “Ti odio, Dio. Per il dolore che infliggerai alla mia bambina… per il gusto sadico delle tue trame”. Poi lo sconforto (“ho una malattia di cui sono morto”) che si trasforma in invettiva (“che orrore sarà il paradiso dell’artefice di tutto questo?”) e in disillusione (“Padre mio, perché mi hai fatto questo?”). A un certo punto Cenacchi cambia il suo atteggiamento e, lo scrive lui stesso, inizia a vedere Dio “come un debole, un soccombente al male bisognoso di noi, i più deboli”. Poi, però, allarga lo sguardo anche al mondo degli amici e degli affetti, da cui trae il conforto doloroso di chi si prepara lentamente all’addio. Le pagine sono piene di pensieri fulminanti: “Visto che non sono riusciti a trovare un rimedio contro il cancro, dovrebbero almeno inventare una medicina contro la speranza: nelle mie condizioni è una malattia irriducibile e insopportabile”. E di parole dolcissime per la piccola Viola: “Ho passato la notte sveglio, a guardarti dormire. Non mi sento così riposato da mesi”.