Recensioni / Bruno Zevi, architetto con le antenne

Le iniziative per il centenario della nascita Bruno Zevi (1918-2000) lasciano ben sperare nella riconsiderazione critica di una figura eccezionale, ma forse forse poco conosciuta dalle ultime generazioni, per le quali l’arte della critica e la pratica della storia sembrano armamentari di una guerra vinta dal predominio delle immagini. La sua memoria però è viva in quanti l’hanno conosciuto o anche soltanto apprezzato nella sua avventura nel mondo dell’accademia, della politica e della società in virtù dello speciale carisma che avvolgeva la sua nervosa figura di architetto engagé, al punto da spingerlo a investire sulla potenza comunicativa dei media, quando questi in Italia erano ancora allo stato embrionale di incunaboli di carta stampata.
Nel 1939, per effetto delle leggi razziali, Zevi lasciò Roma dove si era iscritto alla Facoltà di Architettura, per raggiungere gli Stati Uniti. Qui, non solo si laureò ad Harvard, ma entrò nel gruppo degli antifascisti in esilio arrivando a dirigere i «Quaderni Italiani» del movimento Giustizia e Libertà. In America Zevi rimane folgorato da Frank. L. Wright – che diventerà per lui il paradigma di un’architettura democratica e libertaria – ma prende anche confidenza con le tecniche di divulgazione mediatica di cui comprende l’efficacia politica anche in campi, come quelli della storia e dell’insegnamento universitario, allora ancora elitari e riservati a pochi. Nel 1943 torna in Europa e da Londra gestisce una radio clandestina destinata al pubblico italiano: nel 1976, con l’avvio della liberalizzazione delle antenne, fonda TeleRoma 56, intuendo le grandi potenzialità del mezzo televisivo per la diffusione delle idee. Iniziativa che, insieme alla sua vicinanza al partito radicale, di cui fu anche presidente, fece storcere la bocca a molti colleghi, convinti che la torre d’avorio fosse l’habitat naturale dello studioso. Questo stava stretto a Zevi che, al contrarlo, si assunse la missione e il rischio di rendere accessibili a tutti le sue idee, utilizzando i più diversi format con disinvoltura.
Zevi infatti rivoluzionò la storia dell’architettura con libri che sono pietre miliari della storiografia, tra cui Saper vedere l’Architettura e Architectura in nuce (ora riedito da Quodlibet/Habitat con un saggio di Manuel Orazi, pagg. 250, € 30), ma si cimentò nella difficile battaglia dell’informazione fondando una rivista mensile L’Architettura e varando (1955) una rivista sul settimanale «L’Espresso», che fu lettura avida per molti decenni di studenti, architetti, politici e amministratori. C’è da augurarsi dunque che ritornare ad occuparsi di Zevi (una mostra è prevista al MAXXI di Roma) aiuti a rilanciare l’impegno civile degli specialismi nel ridare un significato condiviso allo sforzo intellettuale, restaurando la funzione della critica come antidoto alle ideologie identitarie e alla gramigna delle fake news.