Gli orari dei pasti sono una costruzione culturale e cambiano non solo da un Paese all’altro, ma da una classe sociale all’altra e anche da un’epoca all’altra. In “A che ora si mangia” (Quodlibet editore, 2017, 87 pp.), lo storico e scrittore Alessandro Barbero racconta le abitudini di vari popoli in diverse epoche. Ad esempio, tra la fine del Settecento e i primi anni dell’Ottocento l’aristocrazia a Londra e a Parigi modificò gli orari dei pasti quotidiani. Il pranzo, considerato all’epoca il pasto principale del giorno, veniva consumato sempre più tardi, fino alle cinque, alle sei, alle sette del pomeriggio, mentre veniva introdotta una robusta colazione, il déjeuner à la fourchette, a metà mattinata, e scompariva la cena serale. La nuova moda venne adottata nel corso dell’Ottocento dalle classi medie e si diffuse lentamente anche in Germania, Italia, Russia, Stati Uniti, ma nel frattempo l’aristocrazia inglese e francese spostava l’orario del pranzo sempre più tardi, fino alla sera; col risultato che il divario delle abitudini non si ridusse realmente fino all’egualitario Ventesimo secolo.