La presente raccolta di saggi vuole rivolgersi a quanto vi è di più contemporaneo in letteratura, senza però rinnegare un pensiero ampio sull’elemento dell’incoerenza nella storia del romanzo occidentale. Una storia, quest’ultima, di continui fraintendimenti. Di fondamentale interesse, allora, è investigare la stessa incoerenza nell’epoca dell’ipermodernità, dopo il verbalismo del post-moderno, in cui l’arte vuole riguadagnare un rapporto con la realtà.
Volendo fornire da subito un giudizio sull’opera nella sua interezza, possiamo dire che l’incoerenza alla fine del libro non perverrà ad una fisionomia univoca mente delineata, ma si definirà piuttosto in base ad una fenomenologia snodata in tre sezioni, ognuna composta da contributi di autori tendenzialmente francofoni. I saggi autobiografici prima, i pezzi di critica comparatista in secondo luogo e, infine, i case studies hanno dunque l’obiettivo di rendere la polisemanticità intrinseca all’incoerenza. D’altro canto, non ogni difformità di un testo può trovare asilo presso questa concettualizzazione. Come avverte Elio Franzini nel saggio che cerca di collocare la problematica all’interno del discorso filosofico, l’incoerenza acquista valore teoretico quando è un errore consapevole. Quando il testo trasgredisce il codice naturalistico-imitativo del mondo e produce con ciò un effetto esterno desiderato, non si può intaccare il risultato tentando di rapportarlo al pattern della logica discorsiva, ma occorre concepire una logica della costruzione artistica. Se è vero che l’incoerenza è quell’eterogeneo senza cui qualcosa come la letteratura non potrebbe proprio esistere, capiamo bene allora come gli insights e le testimonianze personali degli stessi autori siano estremamente preziose.
Andando nello specifico di ogni contributo, vediamo che Akira Mizubayashi (giapponese e francofono) pone la sua esperienza di incoerenza nell’ottica di un’emigrazione linguistica, una vera e propria fuga dall’asfissia autoritaria del giapponese. Per Michel Schneider, invece, la sua incoerenza risiede nella piega dello spazio-tempo della logica quantica di cui la sua prosa si nutre. Per Gaëlle Josse, incoerenza è il momento del dialogo del lettore con se stesso senza che una narrazione costrittiva lo soffochi; forse sulla scorta di un’eco bachelardiana, essa è sinonimo di rupture, la quale spezza il ritmo e invita a riconfigurare gli elementi narrativi.
La sezione comparatista è la chiave di volta della raccolta. Gli autori si avvalgono qui di un nutrito arsenale di testi da cui le analisi che scaturiscono rappresentano il vero nucleo pulsante del volume. Più in particolare, la bisettrice teoretica che attraversa i saggi è il paragone tra vecchie e nuove strade francesi di rendere sulla pagina l’incoerenza. Durante il 2015, ad esempio, Michel Houellebecq, Boualem Sansal e Jean Rolin hanno inquadrato le loro opere in un futuro non futuristico, quasi un presente consegnato all’Unheimlich. Meccanismo funzionale al cuore dell’incoerenza non è difatti il trasfigurare in toto, ma, attraverso una lieve torsione di alcuni elementi narrativi, il suggerire che la continuità e la serena aspettativa del lettore andranno disattese. È un’incoerenza che è andata ontologizzandosi e, con ciò, quasi nascondendosi, come se ne deduce dal saggio di Matteo Majorano: Houellebecq viene riammesso in questa sede per il confronto che si vuole stabilire con Mercier et Camier di Samuel Beckett. In quest’ultimo l’incoerenza è flagrante, linguistica, esibita poiché il testo stesso incarna la demolizione di luoghi comuni, mentre nel semi-storico Soumission Houellebecq annida l’incoerenza nei personaggi, nei loro comportamenti, nei loro automatismi.
Certamente non vengono ignorate le altre due voci più interessanti, insieme a Houellebecq, della nuova generazione di «incoerenti». Una certa insofferenza
maturata nei confronti dell’exploitation romanesque e il concetto di «resistenza del materiale» fanno scaturire il tentativo letterario di Emmanuel Carrère a partire da L’avversario, vicenda giudiziaria che chiede al narratore di dire «io» dentro il perimetro del pluriomicida protagonista. In direzione contraria rispetto a Carrère, lo sforzo di Annie Ernaux parte dalla dimensione femminile e familiare; è la peculiare caratterizzazione sociale di lei e di sua madre la scintilla della scrittura. In Julia Deck la formulazione incoerente è l’alternanza pronominale (noi, voi, io) di Viviane Élisabeth Fauville, mentre in Tristesse de la terre di Éric Vuillard incoerenza muta d’aspetto e diventa la fatale messa in scena della Storia che anima il Wild West Show di Buffalo Bill.
Poiché lasciata libera da una stretta politica identitaria, soprattutto nella finale sezione monografica incoerenza finisce per assomigliare a tutto quello che rende un romanzo degno di essere letto. La maggiore omogeneità teoretica che era stata raggiunta nella cornice dei saggi centrali fa posto qui ai singoli autori, alla loro personalissima modalità di produrre opere di «friction» con il reale, opere per cui ancora non esistono gli adeguati «codici di recezione». Se l’obiettivo con cui nasce il libro è quello di (di)mostrare lo spessore della nozione di incoerenza, viene a confermarsi che essa, calata all’interno del tessuto narrativo, è ed è sempre stata linfa vitale della letteratura, e non mortifera e nociva presenza.