Masullo in «L’Arcisenso» torna al mistero della finitezza e del leopardiano «sentire corporale»
La filosofia è preceduta da un nodo che si avverte nella vita vissuta e che esige di
essere sciolto»: sono parole di Benedetto Croce, che Aldo Masullo cita nell’appendice del suo ultimo libro L’Arcisenso. Dialettica della solitudine (Quodlibet, pagine 194). È un motivo che non appartiene solo alla sua riflessione, ma anche alla sua vita, e che perciò apre i densissimi appunti per un’autobiografia filosofica, che chiudono il volume. Fosse anche solo per rileggere queste pagine, varrebbe la pena prendere questo volume prezioso. Perché in esse sono presenti tutti i nodi principali del pensiero di Masullo, intrecciati con le vicende della filosofia europea moderna e contemporanea. Di cui si possono cogliere, filtrati attraverso la sensibilità e l’acume di uno dei suoi protagonisti, temi e stili di pensiero: la morte del Soggetto e la ripresa di una filosofia della soggettività libera da ipoteche metafisiche; la fenomenologia e l’esistenzialismo; il recupero della tradizione italiana (Bruno, Vico) fino al confronto con i pensatori del Novecento (Gentile, Paci), e poi la frequentazione con gli autori con i quali Masullo si è intrattenuto una vita intera: Fichte, Husserl, Heidegger.
La densità dei riferimenti storico-culturali non toglie nulla alla felicità di una prosa che si mantiene sempre limpida, in grado di parlare con voce chiara e originale alle inquietudini del nostro tempo. La scelta delle parole guida che compongono questa sorta di piccolo vocabolario portatile è già di per sé indicativa del modo in cui la filosofia si declina per Masullo. Cioè come antropologia, come sapere dell’uomo, come parola dell’uomo per l’uomo, che vive solo nella ricchezza del dialogo, nella dimensione sempre aperta e mai definitiva del logos: paticità, dolore, durata, solitudine, silenzio, sapienza, grazi, definiscono non tanto gli oggetti quanto piuttosto il modo in cui la riflessione viene condotta, proprio come la vita è vita umana non perché riguardi la specie uomo, ma per il modo in cui l’uomo la vive, per il modo in cui la sente e anzi la patisce.
Dalla ricca messe di spunti che questo libro offre, può essere utile coglierne tre, che hanno un valore e un interesse non solo per i cultori di cose filosofiche.
Il primo spunto riguarda il tema dell’intersoggettività, che Masullo è stato tra i primi a svolgere in Italia. Tuffala filosofia moderna si è in realtà confrontata con la minaccia del solipsismo, con l’idea cioè che non vi sia modo per riconoscere altra realtà al di fuori dell’Io: da Cartesio a Kant, da Wittgenstein a Gentile, il fantasma del solipsismo compare tutte le volte in cui il soggetto viene innalzato a fondamento, a luogo trascendentale di fondazione del senso. Ma cosa accade rinunciandovi? Lungi dal trovarvi la «pluralità comunicante» dei soggetti, il pensiero contemporaneo vi ha scorto un risvolto puramente negativo, come se la comunità rappresentasse solo un sogno lontano, impossibile, proibito, invece di essere la fatica quotidiana della effettiva condizione umana.
Il secondo spunto riguarda la difesa del relativismo. Qui l’analisi concettuale condotta da Masullo riesce particolarmente utile, perché permette da un lato di condurre la critica di ogni assolutizzazione del relativo, restituendo all’umano la sua misura, ma anche, dall’altro, di riconoscerne la dignità, contestando «la volgare tendenza a confondere il relativismo con il nichilismo». Questa confusione è particolarmente grave ai nostri giorni, segnati da ritorni integralisti e fondamentalisti: «Perfino la scuola, le istituzioni della formazione spesso risultano difetto finalizzate a seminare di assoluti i campi della mente giovanile». Masullo denuncia così quello che chiama il paradosso del nostro tempo, per cui «più si depotenziano i supremi assoluti pubblici, come lo Stato, la Chiesa, la nazione, la classe, tanto più si moltiplicano e rafforzano le assolutizzazioni private». In questa osservazione sta peraltro il senso di un intero magistero pedagogico e civile che il filosofo non ha mai smesso di esercitare negli spazi della ragione pubblica.
Il terzo spunto è però il più prezioso, e spiega il sottotitolo del libro: dialettica della solitudine. Perché l’uomo è anzitutto, nella sua radice “incomunicativa”, dolore e solitudine. In un tempo dominato dalla medicina performativa, dall’ossessione per la prestazione, dall’ottimizzazione non solo dei processi produttivi ma anche delle relazioni sociali e della vita stessa, questo richiamo al mistero umano della finitezza, alla fragilità del corpo e all’evento del Sentirsi da parte di un uomo che ha vissuto l’intera parabola del Novecento, contiene un monito ricco di umana saggezza. Non è un caso se l’ultima cosa scritta da Masullo e affidata a questo libro sia un saggio su Leopardi e sul «sentire corporale». Se la filosofia è anzitutto antropologia, il libro di Masullo ne è oggi un piccolo manifesto imprescindibile.