Recensioni / Dibattito artistico con foto

Nella collana della “Biblioteca Passarè” esce questo volume di Barbara Drudi su Milton Gendel in cui la biografia del fotografo e critico d’arte statunitense viene usata “come punto di vista per parlare anche d’altro”. Questo altro di cui si parla è la scena artistica romana nel secondo dopoguerra, in particolare per quanto riguarda “i rapporti tra gli ambienti artistici italiani e l’America”. Resterebbe deluso quindi chi, basandosi su titolo e quarta di copertina, si aspettasse un volume principalmente dedicato al Gendel fotografo. La riflessione sulla fotografia è rilevante solo nella prima sezione, L’esordio di Gendel fotografo, mentre tutto il testo contiene numerose digressioni sul fulcro d’interesse della studiosa, cioè la ricostruzione del clima e del dibattito artistico tra le due sponde dell’oceano Atlantico.
Gendel, del resto, è figura particolarmente significativa in questo contesto. Nato a New York nel 1918 e allievo del notissimo storico d’arte Meyer Schapiro, dopo due anni nell’esercito passati tra Cina e Formosa dove si occupa, scattando anche delle fotografie, del rimpatrio dei giapponesi a seguito della sconfitta nella seconda guerra mondiale, arriva a Roma grazie a una borsa di studio Fulbright. Qui, ben inserito nell’ambiente artistico della capitale, fotografa, anche se mai da professionista; lavora come consulente per Adriano Olivetti e si dedica alla critica d’arte come corrispondente per l’americana “Art News”; fungendo da ponte trai due paesi. Nel corso degli anni Gendel raccoglie una ricca biblioteca e una collezione d’arte che nel 2011 dona alla fondazione Primoli, alla quale ha affidato anche il suo prezioso archivio fotografico: settantaduemila negativi e sessantasette album di stampe prodotti tra gli anni trenta del Novecento e il primo decennio del XXI secolo (le indicazioni sono tratte dal sito della fondazione).
Un’affascinante figura di intellettuale, dunque, versatile, capace, coltissimo e garbato, come mette bene in luce Drudi. L’autrice, del resto, conduce il proprio lavoro da un punto di vista estremamente privilegiato: “Ho la fortuna di conoscere Milton personalmente da molti anni”, scrive, e il lavoro “si è potuto svolgere quasi tutto nel suo studio, ed è il frutto di uno scambio quotidiano tra di noi”. Questa posizione le consente di avere accesso a una ricchissima mole di fonti di prima mano, anche se non tutte utilizzate per questo testo. Lei stessa, infatti, spiega che “i quaderni di appunti presi tra il 1937 e il 1938 durante le lezioni di Schapiro, nonché i suoi appunti successivi, redatti per la preparazione delle lezioni come assistente di Schapiro” non sono stati utilizzati, in quanto “la densità e la difficoltà di lettura di quegli appunti richiederebbe una notevole quantità di tempo e dunque forse uno studio a parte che rimando a una prossima occasione”. Allo stesso modo, con una scelta piuttosto incomprensibile, è relegata in nota la menzione di “numerose fotografie” scattate nel 1960 da Gendel durante un suo viaggio nella Russia oltrecortina.
La prossimità dell’autrice al suo biografato, d’altra parte, non garantisce sempre una distanza critica efficace e conferisce un tono piuttosto agiografico al testo; tanto più in assenza di una contestualizzazione storica precisa. Trattando, ad esempio, delle fotografie scattate da Gendel durante i suoi viaggi in Sicilia e nel Salento, l’autrice vanta “l’attenta composizione”, “la poeticità leggera”, di immagini che “raccontano un mondo rurale, rappresentandolo però come appartenente a un tempo e a uno spazio che potremmo definire mitici” e negando “quell’atmosfera cupa e tragica che costituisce il tono di fondo del nostro neorealismo”. Sarebbe stato forse opportuno ricordare che le modalità rappresentative non sono esclusivamente frutto di scelte estetiche e che gli anni in cui Gendel visita il Sud dell’Italia e scatta queste fotografie sono gli stessi in cui con maggior violenza esplodono le lotte collegate alla riforma agraria e al controllo delle terre.
Al libro avrebbe giovato anche una più attenta cura editoriale. Le lettere di Milton alla madre, ad esempio, sono talvolta proposte in una doppia versione italiana e inglese, talvolta solo in italiano senza che venga indicata quale sia la lingua dell’originale. Ma soprattutto, nonostante per le note ragioni di carattere economico questo volume non costituisca al riguardo un’eccezione ma la prassi, non ci si può rassegnare a vedere delle belle immagini stampate in un formato talvolta minuscolo, in un bianco e nero che le penalizza enormemente e senza alcuna notazione archivistica. Tanto più in un libro che tanta attenzione dedica alla storia dell’arte e dal quale ci si aspetterebbe, dunque, una maggiore sensibilità estetica e documentale. Chiude il volume una selezione di undici lettere, di o per Gendel, e un estratto da un’intervista di Paul Cummings al pittore Nicholas Carone, anche lui residente a Roma nel dopoguerra grazie a una borsa Fulbright.