Recensioni / Il Pordoi sorride? Note sul volume di racconti Vita coniugale di Ivan Levrini

Vorrei soffermarmi brevemente su tre aspetti che mi hanno colpito in questo libro: i) la lingua; ii) la tipologia del personaggio; iii) il comico. Non parlerò invece della “vita coniugale”, ragion per cui il presente testo non è propriamente una recensione: non si mette in relazione, infatti, con quel che il libro propone in prima istanza.
Non sarà difficile, per chi conosca personalmente l’autore di questo volume di racconti, ritrovare nella lettura il passo tenace e bonario, felicemente quotidiano, con cui egli svolge i suoi interventi pubblici come conferenziere e insegnante di filosofia. Si può star certi, però, che il tentativo di far riapparire dal lato della pagina scritta certe virtù del parlato non è la conseguenza automatica di un’indole, ma il frutto di una lunga applicazione e di un meticoloso lavoro di costruzione. Di quanto affermato è prova la cura che alla lingua è riservata in queste pagine, soprattutto in riferimento alla capacità di nominare, ossia di evocare con precisione, segmenti della nostra realtà e persino di risvegliare uno sguardo, per così dire, archeologico sul nostro recente passato, al fine di farlo riemergere dal cono d’ombra in cui si è eclissato. Così nel libro fanno la loro comparsa oggetti desueti come i biscotti Lazzaroni, i Boeri, i vecchi manifesti del Campari, il Landini 6500 e molti altri. Può capitare anche che un personaggio sia investito a volte di una funzione analoga e attraverso di lui si esprima una sorta di nostalgia dell’umano, di quell’umano che è forse irrimediabilmente sprofondato alle nostre spalle. In “La raccomandata”, Marianna, l’impiegata alle poste, viene descritta ad esempio come una figura “inattuale” per l’umanità che è in grado di esprimere e di risvegliare intorno a sé. Va detto che gli otto racconti del libro si leggono con grande scorrevolezza anche là dove prendono il sopravvento divagazioni e deragliamenti tematici e il filo della storia è momentaneamente compromesso nelle spirali di pensiero del narratore. Un’altra caratteristica emergente, sempre relativamente alla lingua, è la tendenza a cristallizzare mediante formule stranianti idee, atteggiamenti, aspetti peculiari di persone o oggetti. Ecco alcuni esempi: «[...] prendere in contropiede la tendenza immaginativa», «[...] mente umana blandita dal discorso», «[...] si formano degli addensamenti rabbiosi», «[...] curvatura scettica delle sopracciglia», «[...] le premesse di una frattura interiore», «[...] la cosa di tipo femminile», «[...] brontolamento che saliva alle mie spalle», «[...] svaporamento dovuto all’età», «[...] torbido ribollimento interiore» – e si potrebbe andare avanti. Viene in mente, a questo proposito, un’altra celebre raccolta di racconti – La chiave a stella di Primo Levi – in cui precisione della lingua e ricerca dell’oralità convergono con altrettanta efficacia nel caratterizzare la figura del protagonista.
Forse, per entrare nello spirito della narrativa di Ivan Levrini sarebbe utile affidarsi alla meteorologia. I personaggi di Vita coniugale, prima di subire le torsioni dell’intreccio e di rotolare lungo la catena di eventi riservata a ciascuno di loro, compaiono sulla scena mentre sono sotto l’influenza di quel particolare sistema atmosferico che sono le ideazioni, i giri di pensieri e i discorsi in cui si ingolfa la vita degli uomini in genere. È come se, prima di decidersi a imboccare una strada o prendere una risoluzione, si trovassero a brancolare nello spazio circostante e fossero quasi in uno stato di paralisi. Questi personaggi si muovono su un terreno in cui le forze agiscono con la medesima spietatezza che affligge i loro corrispettivi homines sapientes nella vita reale, ma il narratore è inusitatamente empatico verso i loro destini, come se comprendesse che i grovigli di pensiero in cui si trovano impaniati sono solo un modo di prendere tempo, una strategia in attesa che si mostri una via d’uscita dall’impantanamento esistenziale. Che si viva intrappolati, con forze esigue, sotto costante minaccia di essere sopraffatti, potrà anche essere vero, del resto questa è la convinzione di chi vede il mondo attraverso la lente dello spinozismo. Ma non è questo ad essere decisivo, ossia constatare che il mondo è un sistema di illibertà. Come scrive Deleuze nel suo corso su Spinoza (Cosa può un corpo?), interessante è osservare quali strategie, trovate, risorse mettano in atto gli intrappolati per non venire schiacciati del tutto. Si tratta di mandare in cortocircuito questa stupefacente impresa depressiva che è il mondo dato, e disporsi a una lotta. Si tratta di innescare una forma di resistenza, di uscire dal pensiero razionalizzante, a spirale; e imparare a costruire argini all’occorrenza, o tracciare vie di fuga. In “Il planisfero”, è l’osservazione di una carta geografica a garantire momentaneamente la salvezza, evitando così una lite domestica al calor bianco. In questo caso i fiumi, le catene montuose, i laghi sortiscono l’effetto di disinnescare l’ordigno armatosi nell’attesa snervante che abbiano termine i preparativi della moglie per l’uscita serale. In aggiunta a ciò che si è detto, si dovrebbe rimarcare come i racconti di Vita coniugale, costituiscano un singolare caso di narrativa eretica per quanto riguarda le sorti del personaggio. Colpisce infatti nelle otto storie raccontate, la quasi totale assenza di personaggi negativi. La letteratura contemporanea offre, all’opposto, un campionario quasi sterminato di personaggi sadici, euforicamente violenti, autentici virtuosi dell’agire canagliesco. In una simile narrativa il male è rappresentato in modo caricaturale e al tempo stesso compiaciuto. Ai personaggi di Vita coniugale è stato riservato invece un trattamento assai diverso; il narratore sembra guardare alle parvenze umane protagoniste di queste storie con una sorta di pietas piuttosto, prendendo parte ai loro casi umani, senza mai schiacciarli sotto il peso di un giudizio, fosse anche di approvazione. È il caso, ad esempio, della moglie di nonno Pasubio, in “Peccati capitali”. Nonostante sia descritta come «più tedesca dei tedeschi» e «disumana» per l’avarizia con cui tratta il marito, nel leggere le poche righe in cui viene tratteggiata la sua figura, si è subito conquistati dalla sua umanità, fino magari a desiderare di assegnarle qualche antenato letterario illustre, come ad esempio l’Arina Petrovna de I signori Golovlëv. Uno dei punti di forza del libro, mi sembra che stia proprio nella forza con cui i personaggi minori impongono la loro presenza, nella capacità che hanno di lasciare una traccia mnestica duratura, come la moglie tiranna appena ricordata o nonno Ghandi – in “La raccomandata” –, il cui pacifismo battagliero manda in crisi la direzione sanitaria dell’ospizio in cui è rinchiuso.
Il comico si trova ovunque, ma in letteratura la sua corda vibra di rado – è qualcosa di estremamente raro. È la natura del riso in questione a determinare se si sia in presenza del comico oppure di una delle sue tante contraffazioni. Nel comico, a ridere, è sempre “l’uomo intero”; per questo volgarità e scempiaggini gli sono estranee. Ricavo queste osservazioni da quella che forse è la più bella pagina della letteratura universale dedicata all’argomento, che si trova ne L’adolescente di Dostoevskij e si conclude in questo modo: «Io dico che soltanto nel riso è la più sicura rivelazione dell’anima». Il riso che circola nelle pagine di Vita coniugale è di siffatta specie e mi sembra che si possa dire che contribuisce a riportare il comico nel suo “luogo naturale”. Anche i temi più deprimenti, quando affiorano nel corso della narrazione, sono mitigati dal riso, un riso diretto verso l’uomo intero, come si è detto. “Il Pordoi sorride?” – sembra davvero improbabile che possa farlo, ma si può scommettere sul fatto che il lettore di questo libro, pagina dopo pagina, vedrà rafforzarsi il suo buon umore.